Quelle di Parigi 2024 sembrano essere diventate una vetrina per l’ideologia wokeista, più che lo specchio delle imprese atletiche delle nazioni. E ora al cattivo gusto a cui si è assistito finora si aggiunge anche il pericolo e la slealtà: “Dopo la vergogna dell’apertura dei giochi, ecco una nuova follia del mondo woke – denuncia il direttore Edoardo Sylos Labini. – Domani la nostra pugile Angela Carini dovrà combattere contro un atleta trans algerino, in uno sport, quello del pugilato, dove l’impatto fisico è basilare”. Una ragazza che è arrivata sul quadrato olimpico con sacrifici, impegno e abnegazione che l’hanno portata a primeggiare sulle sue pari-categoria, sarà invece costretta ad affrontare un uomo che si è definito donna, e che si avvale di tutti vantaggi fisici che gli dona la biologia.
“Nel pugilato, dove c’è rischio di trauma a causa dei colpi, è estremamente pericoloso che un fisico da uomo combatta contro un fisico da donna” conferma con sentenza inappellabile Alessandro Filippo, romano, già campione internazionale IBF di boxe e ora allenatore di pugili del calibro di Mirco Ricci, Marco Scafi, Kevin di Napoli e Andrea Pesce. La preoccupazione è tutta per la nostra pugile Angela Carini, che domani dovrà salire sul quadrato contro l’atleta algerino Imane Khelif. Khelif, 25 anni, lo scorso anno era stato escluso dai mondiali di pugilato per non aver superato il test del testosterone.
È infatti questo il criterio deciso dal CIO per ammettere individui di sesso maschile a gareggiare contro donne (sono rarissimi i casi opposti, ovvero di donne che si sentano maschi che chiedano di gareggiare contro altri uomini). Un criterio che lascia più di una perplessità, poiché il testosterone – che può variare con l’ausilio di terapie ormonali o per i trans che si siano fatti asportare i testicoli o ancora per i rarissimi casi di intersessualità, quale sarebbe quello di Khelif, che secondo alcuni giornali sarebbe nato con alcune caratteristiche sessuali femminili ma con i cromosomi maschili XY, come dichiarato dal presidente dell’International Boxing Association (IBA) Umar Kremlev – non è l’unica differenza sostanziale, basti consultare un qualunque manuale di biologia: i maschi dopo la pubertà hanno in proporzione un rapporto massa magra\grassa superiore a quello delle femmine, una fitness del sangue migliore, con maggiore assorbimento di ossigeno per kg di peso corporeo, una densità ossea maggiore. Tutti parametri che rendono il corpo maschile più robusto, resistente ed esplosivo rispetto a uno femminile di pari peso e a parità d’allenamento. E nonostante qualunque cosmesi chirurgica.
Così in questi giorni si sono moltiplicate le voci di protesta, da Matteo Salvini a Rossano Sasso (Lega), in commissione Cultura, Scienza, Sport e Istruzione fino ad Andrea Abodi, ministro dello Sport, che ha affermato “Nell’evento che rappresenta i più alti valori dello sport si devono poter garantire la sicurezza di atleti e atlete, e il rispetto dell’equa competizione dal punto di vista agonistico. Per Angela Carini non sarà così”.
Già, perché non basta definirsi “donna” per diventarlo. Né basta la chirurgia cosmetica (o “di riassegnazione del sesso”) o le prolungate assunzioni di farmaci ormonali a cambiare il fatto che il fisico di un individuo nato con cromosomi maschili XY sia biologicamente più performante di uno nato coi cromosomi femminili, XX: “Se a un leone tagli la criniera, non diventa una leonessa” continua Alessandro Filippo. Il dimorfismo sessuale che caratterizza gli esseri umani (come i leoni…) è inaggirabile: “la massa muscolare di un maschio e la forza esplosiva di quella muscolatura sono superiori a parità di peso e allenamento” spiega Filippo. “Non è questione di “fobia”. Il mondo si sarà pure evoluto, sarà pure cambiato, ma non si può andare contro la fisiologia e la natura. Nulla in contrario a far gareggiare maschi e femmine insieme in discipline mentali o di performance individuale, come può essere il tiro al piattello o il tiro con l’arco o gli scacchi. Diverso è là dove c’è una performance fisica e peggio ancora se sono sport di contatto”.
I rischi infatti sono gravi. A novembre dello scorso anno la pugile canadese Katia Bissonnette ha rifiutato un incontro con un pugile trans, perdendo a tavolino il titolo: “un uomo a parità di peso colpisce con una forza che è il 163% di quella di una donna” ha dichiarato commentando il suo forfait. Una decisione saggia, che arrivava pochi mesi dopo che una combattente di MMA, Tamikka Brents, era stata letteralmente massacrata dal suo sfidante, un trans di nome Fallon Fox, riportando alla prima ripresa KO tecnico per commozione cerebrale e sfondamento del cranio in sette punti diversi. I livelli di testosterone di una donna e di un uomo che si dichiara trans possono anche essere allineati con terapie ormonali, ma il cranio di un uomo resterà sempre più denso e robusto di quello di una donna, e il pugno di un uomo pesterà sempre più duro di quello di una donna, a parità di peso.
Nel 2021 un consulente del CIO, Louis Gooren, aveva studiato gli effetti del trattamento ormonale femminile sui maschi in transizione. Ha riferito che, sebbene la terapia ormonale possa effettivamente ridurre la massa muscolare totale degli atleti maschi, questa rimaneva comunque notevolmente maggiore di quella che sarebbe stata per l’atleta femmina media. L’ipotesi che basti il livello di testosterone a determinare la differenza fra maschi e femmine è basata soprattutto su uno studio di un atleta e attivista trans, Joanna Harper, maratoneta e fisiologo, molto contestato su premesse, metodi e risultati, con tanto di esempi contrari alla tesi di Harper omessi dal report finale affinché il teorema fosse coerente. Eppure questo studio è stato sufficiente per il CIO per modificare i criteri d’ammissione dei trans alle categorie sportive femminili.
In pratica ciò rende sleale la partecipazione dei maschi biologici che si dichiarano femmine a competizioni con donne biologiche che richiedano una performance fisica. L’apparizione nelle categorie femminili di atleti maschi ha letteralmente trasformato in “campioni” degli atleti altrimenti mediocri, consentendo loro di gareggiare con un fisico da maschi negli sport femminili. Basti fra tutti l’esempio di Lia Thomas, un ragazzone alto due metri che è diventato campione nazionale statunitense di nuoto universitario femminile dopo essersi dichiarato trans. Quando gareggiava contro gli uomini, Thomas si era piazzato 554° nei 200 metri stile libero nella classifica nazionale dei college. Eppure, dopo la sua transizione, è riuscito a battere tre donne che avevano vinto medaglie olimpiche.
“Dovrebbe essere proibito – conclude Alessandro Filippo, che nell’ambiente del pugilato è noto e apprezzato anche per l’affetto paterno e la preoccupazione che nutre per gli atleti – ma il politicamente corretto fa ignorare qualunque precauzione e le possibili conseguenze gravissime che potrebbero risultare da un incontro come quello fra Khelif e la Carini”.