Gentile virologo, fan delle restrizioni a vita, io ti disprezzo

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collage da ilgiornale.it

Non disprezzo la tua forma scientifica, ma la forma umana. La tua impossibilità di non essere entro un limite accademico, il tuo cinismo matematico. Se tu hai scelto di rendere la tua vita il prodotto di un’equazione osservata al microscopio, molti di noi, no. Molti di noi, non ne possono più. Ma più davvero.

Come tutte le cose italiane, che evolvono nella disgrazia ridicola e infantile, sciatta, cretina, anche questa volta, nei giorni pesanti come quelli di un carcerato, si è creato il tifo. E tu sei il capo curva, che megafona con la sua voce fino a ieri inesistente, mentre si arroventano venti di guerra incivile.

Dichiarati, dunque. Fallo adesso che il tuo modo domina. Ora che sei più rock di Cristo, ora che sei più alto della divinità, ora che sei più grande della politica. Ora che la chiesa preferisce la misticanza in salsa green e gender, alla mistica. Vai a colmare quel vuoto spirituale con la rassicurante gratificazione istantanea che l’uomo replicante di oggi cerca per manifestarsi nel reale.

L’immagine che giunge di te, come uomo, è nel fastidio irritato, spocchioso, caustico, che mostri verso le richieste della vita di non fermarsi. Di non fermarsi per non spegnersi, in ognuno e in maniera diversa, di non fermarsi al camice, bianco come l’Ostia, alla medicalizzazione dell’esistente, al culto estremo ed esclusivo del Dio Vaccino che si manifesta nella tua parola profetica, unica accettabile: Virologo Salvator mundi. Quel disprezzo, lo restituisco apertamente a te. Come uomo, tra uomini.

Questa pandemia, magnifici medici, non finirà mai. Si insinua nella irrazionalità che prende la mente di tutti noi o forse in una velata, ultima, razionalità l’idea che vi sarà modo di perpetuarla, a mio sciocco avviso. E tra le pieghe del terrore e della malattia, vi sarà la vita, variante della malattia. Non più la malattia come eccezione della vita.

Non vi posso perdonare l’assenza di tatto. La negazione della speranza. La brutalità televisiva. Non vi posso perdonare, come ben afferma Buttafuoco, la generazione spontanea di una casta: “Ogni emergenza si perpetua – sostiene – perché genera una casta che sovrintende la gestione dell’emergenza stessa. E’ un copione già visto in Italia: ora, dopo i professionisti dell’anti-fascismo e i professionisti l’anti-mafia, sono arrivati i professionisti dell’anti-Covid“. Chi assicura che, con un Parlamento ormai incapace di rappresentare la volontà popolare ma solo di essere strumento di servizio e di gestione esclusiva del momento (chiedete a quanti italiani, e non a quanti deputati, fermati per strada vada bene la fiducia confermata al ministro Speranza), con un rapporto Stato-cittadini fondato sulla paura, sulla sfiducia, simile a quello tra un’educatrice e un figlio stupido, che il rispetto delle persone, e non il marketing ideologico-elettorale, sia al centro delle cose?

Si prenda il coprifuoco. Come posso perdonare chi considera chi vuole l’annullamento del coprifuoco come reductio ad alcolum? Chiamare i lavoratori disperati, i condannati all’angoscia casalinga, chi sta perdendo persino gli affetti più cari, “aperturista” è un crimine linguistico, un’aberrazione, un’idiozia. È in atto il pericolo di rendere la vita un capriccio.

È cominciata la fase infantile della pandemia: la punkdemia, quella della caciara, del vomitarsi addosso cose, dell’imputarsi o intestarsi responsabilità e giustizia. Come si può considerare che chi richiede l’abolizione del coprifuoco sia in un alcolista di destra con la cirrosi, mai cresciuto, scapolo, che si mangia le caccole. Considerare chi chiede aperture un bamboccio immaturo. Gente che vuole questo solo per ingozzarsi d’alcool.

Ridurre il coprifuoco a questione di destra e il rispetto delle regole a questione di sinistra è pura follia. È liquidità di un cerebro in piena sindrome da sovra stess che inverte i poli. Esiste un limite da non superare, oltrepassato il quale la normalità non tornerà più perché se anche dovesse tornare non si riuscirà a percepirla. Irreversibili danni compiuti, si dice. Gentile virologo, fan delle restrizioni a vita, io ti disprezzo.

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Emanuele Ricucci
Emanuele Ricucci è nato a Roma il 23 aprile 1987. Lavora per la comunicazione di Vittorio Sgarbi, di cui è tra gli assistenti, ed è collaboratore per la comunicazione del Gruppo Misto Camera dei deputati (NI-U-C!-AC). Scrive di cultura per Libero Quotidiano, per Il Giornale e per il mensile CulturaIdentità. Ha scritto, tra gli altri, per Il Tempo e Candido, mensile di satira fondato nel 1945 da Giovannino Guareschi. È autore di satira ed è stato caporedattore de Il Giornale OFF, approfondimento culturale del sabato de Il Giornale e nello staff dei collaboratori “tecnici” di Marcello Veneziani. Ha studiato Scienze Politiche e scritto cinque libri: Diario del Ritorno (Eclettica, Massa 2014, con prefazione di Marcello Veneziani), Il coraggio di essere ultraitaliani. Manifesto per una orgogliosa difesa dell’identità nazionale (edito da Il Giornale, Milano 2016, scritto con Antonio Rapisarda e Guerino Nuccio Bovalino), La Satira è una cosa seria (edito da Il Giornale, Milano 2017) e Torniamo Uomini. Contro chi ci vuole schiavi, per tornare sovrani di noi stessi (edito da Il Giornale, Milano 2017). Questi ultimi prodotti e distribuiti in allegato con Il Giornale. Antico Futuro. Richiami dell’origine (Edizioni Solfanelli, Chieti, 2018, scritto con Vitaldo Conte e Dalmazio Frau) e, da ultimo, Contro la Folla. Il tempo degli uomini sovrani (con critica introduttiva di Vittorio Sgarbi). Dal 2015 scrive anche sul suo blog Contraerea su ilgiornale.it. È stato direttore culturale del Centro Studi Ricerca “Il Leone” di Viterbo ed è attualmente responsabile dell'Organizzazione Nazionale di CulturaIdentità

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