I magistrati che restarono con la schiena dritta

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“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Ogni sentimento è umano e come tale va affrontato. Grattando giù in fondo, fino alle estreme conseguenze. Perché non si fa il magistrato se si ha timore anche a mettere un dito nell’acqua calda. Perlomeno, non lo si farà mai abbastanza bene. Con dignità e risultati.

Senza ricorrere cioè ai giochi potere o ai «sistemi» raccontati da Alessandro Sallusti, Luca Palamara e che Edoardo Sylos Labini sta portando in scena mettendo a nudo fin troppi tabù imbarazzanti. Giovanni Falcone si è dato coraggio mentre dava coraggio a quelli che lavoravano accanto a lui contro la mafia. La ricetta la sappiamo: «Segui i soldi!». Lo spirito pure: «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni».


La verità è che – come tutte le grandi imprese – bisogna stare fuori dai sistemi o dalle consorterie per vedere la luce alla fine del tunnel. Giovanni Falcone fu un visionario capace d’infondere una concreta speranza a chiunque, altrimenti non avrebbe fatto tutto quello che ha fatto. Non avrebbe portato per la prima volta alla sbarra l’intero sistema mafia ottenendo una valanga di condanne definitive. Per questo è morto: perché ha fatto benissimo il suo mestiere senza forzare il diritto ma rendendolo efficace. Ha onorato la toga, fino alla fine. Ma non è stato il solo: la sfilza di magistrati con la schiena dritta è lunga. Esiste un martirologio che fa onore alla categoria, con togati che hanno sfidato la mafia o il terrorismo pagando un prezzo altissimo. Giovanni Falcone ha agito con tenacia mentre altri segmenti della magistratura, senza remore di essere additati in negativo, lo sgambettavano pubblicamente. Gli contestavano il carattere deciso, ma anche il consenso popolare. Alcune critiche – per carità – potevano anche essere legittimate dalla novità dell’approccio. Altre invece vanno lette con la lente d’ingrandimento di chi non intendeva mettere a repentaglio le proprie rendite di posizione, di non scoperchiare quelle camere di compensazione dove certi equilibri non andavano mai messi in discussione.
Falcone aveva paura. Così come la moglie Francesca Morvillo, anche lei togata. Ma non si fecero intimidire da un sentimento che a molti altri paralizza le gambe. Falcone sapeva come gli sarebbe andata a finire. Aveva già visto cosa era accaduto al giudice Rocco Chinnici, il padre del pool antimafia fatto saltare in aria con 75 kg di esplosivo mentre usciva di casa il 29 luglio 1983 a Palermo. Le lapidi conoscono i nomi di altri magistrati siciliani: Pietro Scaglione
(1971), Cesare Terranova (1979), Gaetano Costa (1980), Gian Giacomo Ciaccio Montalto (1983), Alberto Giacomelli (1988) e Antonino Saetta (1988).

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