È in scena fino al 18 maggio, al Piccolo Teatro Grassi di Milano (via Rovello) è in scena Il caso Kauffmann (produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona, Il Parioli) di Giovanni Grasso. Ecco la recensione.
IL CAST
Franco Branciaroli, Stefano Santospago, Viola Graziosi, Franca Penone, Piergiorgio Fasolo, Alessandro Albertin, Andrea Bonella. Regia di Piero Maccarinelli
LA TRAMA
1941, Monaco di Baviera: Leo Kauffmann, commerciante tedesco di origini ebraiche, è condannato a morte con l’accusa di “inquinamento razziale”. Gli viene imputato, infatti, di avere intrattenuto una relazione sessuale con Irene, una giovane ariana. Per Kauffmann, che si è sempre considerato tedesco e si è visto via via eliminare ogni diritto, questo è un tradimento alla verità. In tanti hanno testimoniato contro di lui: nessuno crede alla teoria di un rapporto di puro affetto con la ragazza, in quanto figlia di un suo caro amico. Con la scusa di una conversione, di cui invece non ha alcuna intenzione, Kauffann riesce ad avere la visita di un prete mentre si trova in carcere in attesa della condanna. Vuole fare arrivare a Irene il suo ultimo messaggio e, ripercorrendo i suoi ultimi otto anni di vita, racconta la sua verità al sacerdote. La sincerità che si legge nelle sue parole fa comprendere che l’uomo è rimasto sicuramente folgorato dalla bellezza della donna, senza tuttavia superare alcun limite: un amore intellettuale prima di tutto. Ma di fronte alle leggi di una Germania nazista, a cui tutti i cittadini obbediscono, non viene nemmeno presa in considerazione la possibilità che le cose siano davvero andate così.
LA MORALE
“Non ci sono fatti, solo interpretazioni”, diceva Nietzsche. Ne Il caso a Kauffmann si ragiona in effetti solo per calunnie e accuse, senza preoccuparsi della realtà. Basta un solo racconto credibile per far sì che tutta la narrazione successiva segua lo stesso meccanismo e risulti altrettanto efficace. L’amore puro, concettuale prima ancora che fisico, ci insegna che la generosità non si incontra in tutti ma, se avremo la costanza di diffondere quel sentimento, potremo essere felici nell’animo anche nei momenti più dolorosi. Eppure per gli altri siamo sempre solo “fisico”, quello che vedono: siamo l’ombra che ci rappresenta.
IL COMMENTO
Una storia vera ispira Il caso Kauffmann, a conferma di quanto l’ipocrisia sia spietatamente concreta in chi spera di ottenere chissà quale vantaggio denigrando qualcun altro. Il dramma, messo in scena qui con formidabili imprevisti, diventa quindi più autentico quando si pensa che non si tratta di immaginazione. L’inizio, con la soddisfazione di una domestica per la condanna a Kauffmann, non dovrebbe lasciare spazio a sperare in un finale diverso: eppure alla fine di tutto il lungo flashback, ci si augura ancora che il destino di Leo sia un altro. In questo senso straordinaria la regia, che ha allestito uno degli spettacoli più intensi di questa stagione. Il nazismo e le sue conseguenze raccontate con una delle vicende più incredibili e spesso dimenticate. Ritmi non troppo elevati, ma ci si alza dalla poltrona del teatro arricchiti di una pagina di cultura che non si può nascondere.
IL TOP
Franco Branciaroli è semplicemente immenso: la sua voce profonda si fa narratrice di tutta la vicenda, catturando l’attenzione dall’inizio alla fine. Piange guardando l’odio ingiustificato intorno a sé, si emoziona pensando al suo amore mai consumato: il monologo finale, in cui fa un confronto tra il suo essere e il suo esistere (tipico della morale heideggeriana) raccoglie lunghi applausi e dà un senso pieno (fino a quel momento inatteso) alla storia.
LA SORPRESA
Irene è affascinata dalla maturità del commerciante, disgustata dalla società del cui pensiero si mostra disinteressata. A interpretare così bene la delicatezza di questo personaggio è Viola Graziosi, apprezzatissima dal pubblico del piccolo. Anche gli altri personaggi in scena, tutti non protagonisti ma comunque chiavi fondamentali nella storia, sono portati in scena con un’attenzione che merita applausi: pochi minuti, eppure incisivi.