Il paese anima vera del Paese

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Roverbella - cittaidentitarie.it

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L’Italia è forse l’unico posto al mondo in cui ai centri urbani più piccoli di una città ci si riferisce come “paesi”, non “villaggi”. Il piccolo borgo di provincia è il paese, il Paese è la nazione a forma di stivale che li riunisce tutti. Questo doppio significato della parola “paese”, ai due estremi della scala, definisce anche bene il carattere peculiare della nostra nazione: unica e molteplice, una patria sola, tante piccole patrie, un Paese formato da tanti paesi. Cambia solo la maiuscola iniziale.

La specificità di borghi, frazioni e cittadine è fortissima. Tutti noi italiani sappiamo benissimo quanto forti siano i legami col “campanile”, fino alla faziosità. Siamo tutti talmente legati al nostro paesello d’origine che anche i moltissimi italiani sradicati dall’immigrazione interna – chi dal Sud è andato al Nord, chi dal piccolo centro urbano alla grande città – mantengono fortissimo il loro legame col “paese”. «Dove vai in vacanza? «Torno al paese». Al paese c’è la nonna, i vecchi zii, qualche cugino che è riuscito a non emigrare, il cimitero con le tombe degli antenati. Ci sono i conoscenti, quelli che quando ti vedono dopo tanti anni ti chiedono «ma tu di chi sei figlio?» per poterti inquadrare nella rete mentale delle loro conoscenze. E poi il paese è la festa del Santo Patrono, con la processione, le bancarelle e il concerto del cantante nazionalpopolare, i fuochi d’artificio. Un’occasione in cui spesso si riuniscono le famiglie divise dall’emigrazione causata dalla mutazione antropologica attraversata dall’Italia mezzo secolo fa. Forse non a caso in più riprese si è proposto – per fortuna senza successo finora – di abolire la festa del Santo Patrono, con la scusa che «gli italiani hanno troppi giorni rossi sul calendario»: un sistema per colpire l’identità degli italiani.

Il paese dunque è l’anima vera del Paese me questo non è un gioco di parole. Mentre le realtà urbane accelerano verso la trasformazione in non-luoghi, i piccoli borghi resistono. «Sono arretrati» dice con superficiale disprezzo l’entusiasta delle ZTL, dei frappuccini al latte di soia e dei calzini sotto ai sandali (perché l’ha visto su Vogue). «E meno male» risponde il realista, constatando che restare indietro mentre quelli davanti s’avvicinano sempre più pericolosamente al bordo della scogliera come i lemmings è una carta da giocarsi per evitare il tuffo nel vuoto.

Il borgo è la vera città dei 15 minuti ante litteram, quella a misura d’uomo in cui forse hai poco, ma tutto è a portata di passeggiata. Non il lager per bestiame umano progettato dagli allucinati ingegneri sociali delle agende globaliste, con le telecamere anziché il filo spinato.
Finché dunque regge il paese, starà in piedi anche il Paese e questa non è una semi citazione. Il piccolo borgo, la cittadina, la frazione, sono il luogo del rapporto diretto con l’amministrazione (che quindi bon gré mal gré deve rispondere democraticamente al popolo) e delle soluzioni «all’italiana», dolcissima definizione che rimanda alla praticità, allo sprezzo per la burocrazia, allo «scusate, chi è l’ultimo» al posto del bigliettino col numeretto. Certo, a tappe forzate si sta facendo di tutto per impedire agli italiani di comportarsi da italiani e trasformarli in europei, ma è nella città che l’anonimato consente l’avanzata del Nulla travolgendo quel buon senso e pragmaticità della relazione umana che avevano permesso all’Italia di ascendere a quarta potenza mondiale, eoni fa. Nel paese, tutti hanno qualcuno – parente o conoscente – all’ufficio tal dei tali col quale la pratica arriva a buon fine.

Il paese dunque è la colonna vertebrale del Paese, e questa non è un’esagerazione.
Lo è economicamente («ma come? – dirà chi guarda solo ai dati macroeconomici – è la grande industria e il terziario avanzato che fanno i big money!») perché il binomio borgo-campagne, con i piccoli appezzamenti familiari garantiscono se non l’autosufficienza, una bella fetta dell’alimentazione e soprattutto la sua parte più genuina, varia e gustosa (cosa che anche i cittadini sanno bene, quando arriva «il pacco» dai parenti del paese).

Lo è spiritualmente, perché quel Santo Patrono che citavamo prima è il nuovo nome dell’antichissimo Genius Loci, che solo nel paese può restar vivo grazie – per usare un termine confuciano – ai «Riti». Perché la processione che tiene in vita il rapporto fra i devoti e il loro Protettore puoi farla in un centro storico, in un borgo, non certo fra i condomini di sei piani di una anonima periferia urbana.

Lo è culturalmente, perché – a dispetto della bulimia nervosa da cultura delle grandi città – il paese ha forse meno, ma a quel poco c’è molto attaccato (che poi in una nazione piena di storia e di arte come l’Italia quel «poco» sarebbe sufficiente a riempire un paio di musei oltreconfine).

Lo è politicamente. E non a caso leggiamo gli alti lai di chi vorrebbe far votare solo le città con almeno 50 mila abitanti, dove alle urne vanno quasi solo i privilegiati dei quartieri-bene mentre sfiducia e disaffezione spingono alla diserzione elettorale le masse rassegnate e sradicate delle banlieue. Ma l’Italia profonda, quella contenta d’essere ancora Italia, quella che non vuole ZTL e telecamere, non sa che farsene delle catene del cibo-spazzatura globalizzato e guarda con sano sarcasmo la post modernità è ancora saldamente conservatrice. Forse perché ha tanto da tenersi stretto e al «villaggio globale» preferisce ancora un Paese fatto di paesi. E chiamala fessa…

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