Il Vecchio Continente ha tutte le contraddizioni di una civiltà immensa. Lo spiega a «CulturaIdentità» Angelo Crespi, direttore di una delle più importanti gallerie d’arte del mondo: Brera
Dal 15 gennaio Angelo Crespi è il direttore generale della Pinacoteca di Brera a Milano su mandato del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. La sua prima prova del fuoco: la Grande Brera, cioè l’ampliamento dello spazio espositivo della della Pinacoteca di Brera con l’apertura di Palazzo Citterio (edificio di proprietà del Ministero della Cultura dal 1972), data fatidica il 7 dicembre 2024, giorno di San’Ambrogio e della prima della Scala. Giornalista, saggista, drammaturgo, critico e curatore d’arte contemporanea ma con una laurea in Giurisprudenza, ha tutte la carte in regola per dirigere un museo pubblico di interesse nazionale e autonomo: infatti non basta essere intellettuali, bisogna anche portare a casa il risultato e quindi passare dal pensiero all’azione dimostrando di essere operativi anche in ambito amministrativo e giuridico. Del resto Angelo Crespi ha un resumè di gestione di imprese e istituzioni culturali piuttosto corposo, da Valore Italia al Museo MaGa di Gallarate, da Palazzo Te a Mantova all’Adi Museo del Design di Milano, dal Piccolo Teatro alla Triennale Milano, per non parlare della sua produzione saggistica e dei suoi numerosi articoli pubblicati sulle più importanti testate nazionali. Insomma, Crespi non è una risorsa che ingiallisce in biblioteca, anzi, come ci racconta in questa intervista, «bisogna avere anche una cultura del fare».
Direttore, come si muoverà questa Grande Brera nel tessuto connettivo della cultura non solo milanese e italiana?
Sono convinto che Brera debba tornare ad essere centrale nelle dinamiche culturali di Milano e più in generale dell’Italia. Con la prossima apertura di Palazzo Citterio dopo oltre cinquanta anni di progetti e ripensamenti, viene finalmente portata a compimento l’idea della cosiddetta Grande Brera, come fu immaginata negli anni Settanta del secolo scorso dagli allora Soprintendenti, prima Gian Alberto Dell’Acqua che acquisì l’immobile per conto dello Stato, poi Franco Russoli che ne iniziò i lavori di ristrutturazione. L’ampliamento della Pinacoteca in un palazzo del Settecento con le importanti collezioni di arte del Novecento, Jesi e Vitali, con opere di Boccioni, Modigliani, Morandi, Picasso…, permette al museo di aumentare la propria offerta culturale perfino nel settore dell’arte contemporanea, potendo contare su due spazi straordinari per le mostre temporanee. La prima mostra di architettura sarà dedicata proprio alla Grande Brera e passerà in rassegna tutti gli interventi di architettura dal Cinquecento a oggi. In ogni caso, questa nuova dimensione espositiva aumenta il ruolo della Pinacoteca anche a livello nazionale, considerando che già oggi il museo ha una delle collezioni di arte antica tra le più importanti al mondo, con capolavori assoluti di ogni epoca, soprattutto del Rinascimento e del Barocco.
La Grande Brera è dunque uno dei temi cardine del mio mandato. Il complesso di Brera oltre alla Pinacoteca e alla Biblioteca Braidense, che sono di mia stretta competenza, ospita altre importanti istituzioni bicentenarie come l’Accademia, l’Orto Botanico, l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, l’Osservatorio Astronomico e l’Archivio Ricordi. Ho scoperto di essere, in quanto direttore della Pinacoteca, anche una sorta di amministratore di questo complesso condominio. E sono convinto che tutta questa complessità possa essere comunicata in modo semplice sotto il titolo «Grande Brera», rendendo evidente che Brera è di fatto, da almeno un paio di secoli, uno dei più importanti centri culturali d’Europa. Aggiungo che il giardino segreto di Palazzo Citterio, collegato all’orto botanico, diventerà un luogo attrattivo per l’intero quartiere e per tutti gli stranieri che scelgono di visitare Milano.
Lei ha detto che «Il direttore di un museo autonomo è come l’amministratore delegato di una grande società»: retaggio della sua formazione o vero a prescindere?
Vero a prescindere. Dal 2014, quando è stato lanciato l’Art Bonus prevedendo poi l’autonomia dei musei, molto è cambiato e ancor di più oggi con le nuove linee del Ministro Gennaro Sangiuliano, ispirate a trovare una reale sostenibilità, anche economica, del patrimonio culturale italiano. Le leggi che regolano l’attività dei musei autonomi sono un centinaio e una trentina sono i compiti del direttore, che è anche, ad esempio, stazione appaltante e Rup [Responsabile unico di progetto, NdR], che deve governare il personale e la sicurezza, che deve garantire l’identità culturale del museo, la scientificità delle mostre, ma anche trovare i fondi per sostenere il suo programma. In sostanza, il direttore di un museo autonomo è come l’amministratore delegato di una grande società, con tutte le responsabilità che ne conseguono.
Questo numero di «CulturaIdentità» è dedicato all’Europa: se volessimo fare un tour attraverso le più importanti realtà museali del vecchio continente, quale itinerario ci suggerirebbe?
Non avrei dubbi per le grandi istituzioni. Inizierei dal Pergamon Museum di Berlino per l’archeologia. In esso si conserva l’antico — si pensi ai fregi di Pergamo o alla ricostruzione del mercato di Mileto — con l’acribia tassonomica dei tedeschi. È straordinario, ma in questo momento è chiuso per restauri che dureranno dieci anni. Peccato. Poi, direi la Tate Modern a Londra: una cattedrale assoluta di quell’antichiesa che è l’arte contemporanea. Mi piace la collezione del Centre Pompidou a Parigi, ma anche in questo caso bisogna sbrigarsi perché entrerà in restauro nel 2025. A Madrid consiglio il «Regina Sofia». A San Pietroburgo il Museo di Stato con le collezioni dell’Ottocento di arte russa e soprattutto dell’avanguardia, ma anche di icone. Se invece pensiamo alle piccole istituzioni farei un giro al museo di arte orientale «Henri Cernuschi» di Parigi, una vera chicca che contiene la collezione di un banchiere italiano. Poi vedrei, il museo «Franz Kafka» a Praga, il Kunstmuseum di Stoccarda con Otto Dix, il Museo delle Culture di Lugano, la casa museo di Fernando Pessoa a Lisbona, il museo Vasa a Stoccolma che contiene un galeone del Seicento recuperato sul fondo del mare…
E a proposito di itinerari, tornando a Milano: a che punto è la passeggiata «nella Grande Brera» (Palazzo Citterio e Orto botanico in un percorso unico)? Cosa vedremo il 7 dicembre 2024?
Stiamo studiando il percorso che dal cosiddetto «strettone» in via Fiori Oscuri porta all’orto botanico e poi direttamente al giardino segreto di Palazzo Citterio. Sarà pronto nella primavera del 2025. Ovviamente, vorremmo che l’edificio storico di Brera fosse collegato al nuovo edificio anche passando da via Brera. Troveremo il modo per significare visivamente questo collegamento che non è immediato. Più in generale, penso che aprire un grande spazio verde all’interno del quartiere più iconico di Milano e nello stesso tempo, con un progetto urbanistico rendere evidente la continuità con il Quadrilatero della Moda, può definire un percorso che unisce l’arte antica, quella moderna e contemporanea, al settore del fashion e del lusso.
Elezioni europee: quale secondo lei la proposta culturale imprescindibile per l’Europa che verrà?
Penso che i beni artistici siano effettivamente un giacimento di senso e di identità in primis per l’Italia, ma anche per molti Paesi europei che si riconoscono nelle loro tradizioni e nelle pietre che racconto il loro grande passato. Proprio per questo l’Europa non deve dimenticare che il patrimonio culturale è l’eredità non casuale di una civiltà che a fianco di tanti orrori ed errori, può vantare Bach e Michelangelo, Voltaire e Thomas More, Chartres e Rilke, Piero della Francesca e Picasso, Rossini ed Heidegger, San Tommaso e Hobbes, Benedetto da Norcia e Giovanna d’Arco, Irnerio e Mozart. E tutto ciò si fonda su un impianto giudaico-cristiano-romano che innerva le istituzioni e il nostro modo di pensare. Noi siamo frutto della volontà di potenza che già esprimeva il mondo greco e la sua filosofia, una volontà di potenza che si esplica nella scienza e nella tecnologia che sono di fatto delle nostre prerogative, volontà di potenza e di controllo sul mondo mitigata però dal Cattolicesimo e dal pensiero liberale. Non è facile riassumere la forza dell’Europa, la sua grande civiltà che ha avuto, dal punto di vista politico, il massimo splendore con il Sacro Romano Impero, e che rende il nostro Continente — a mio modo di vedere — l’unico in cui valga la pena vivere. Ciò detto l’Europa deve smettere il suo piagnisteo e rendersi consapevole della sua missione nel mondo.
Il «patto per Brera»: che ruolo avranno i privati nel suo mandato?
Il Patto per Brera è un’iniziativa che si pone l’obiettivo di creare un club di mecenati, individui e aziende appassionate, generose e visionarie che possano sostenere il progetto della Grande Brera. Scegliendo di aderire al Patto, le aziende entrano a far parte di un circolo di pensiero strategico tra persone accomunate da principi, di responsabilità sociale e mecenatismo culturale, che contribuiscono a generare valore per il territorio e la comunità, costituendo i pilastri su cui costruire il futuro di Brera. I rappresentanti delle realtà sostenitrici faranno parte di un board che si riunirà durante l’anno per discutere — alla presenza di artisti, curatori, istituzioni ed esperti — progetti e prospettive di sviluppo culturale e sociale della Grande Brera e di Milano. Il contribuito annuale che chiedo ai privati che vorranno sottoscrivere con me il Patto per Brera potrà essere erogato avvalendosi dell’Art Bonus (che è una defiscalizzazione del 65% sulla donazione), e sarà volto a sostenere progetti specifici ad alto impatto sociale, definendo in questo modo una membership dalle finalità filantropiche che risponda agli obiettivi ESG che oggi sempre più spesso nelle aziende lungimiranti si declinano nel bilancio sociale nella Corporate Cultural Responsibility, cioè nel sostegno alla cultura.