L’arroganza non premia: declassato La Pergola di Firenze

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L’arroganza del Sindaco di Firenze Funaro (anche se lei ci tiene molto ad essere chiamata Sindaca), porta alle conseguenze inevitabili del declassamento del Teatro Nazionale della Toscana. Mesi fa aveva fatto discutere la nomina di Massini come nuovo Direttore Artistico dopo un Cda lampo e una conferenza stampa a seguire senza coinvolgere o avvisare minimamente della scelta il Ministero della Cultura, primo contribuente del Teatro. Il Ministro Giuli nel corso dei mesi aveva più volte invitato la Funaro a preservare nelle scelte artistiche e aziendali quella pluralità che la Pergola di Firenze aveva mantenuto in questi anni.

Il Mic ha tolto così lo status di Teatro Nazionale alla storica sala fiorentina dopo un’attenta e approfondita valutazione della Commissione.

Grida allo scandalo il Sindaco, insieme al Direttore Artistico Massini, perché ritiene che il programma da lui concepito non abbia raggiunto il punteggio minimo di 10 nella valutazione della Commissione ministeriale preposta e che dunque il Teatro della Toscana sia stato declassato per questo.

“La stessa Commissione” grida lui da piazza della Signoria che “l’anno scorso aveva valutato che la programmazione della Pergola avesse punteggio di qualità 29. Per essere declassati, bisogna andare sotto il nove. Cioè, vorrebbe dire che in un anno la stessa Commissione ha deciso improvvisamente 20 punti di meno. Cosa è successo in questo anno? Che sono arrivato io, il pessimo, l’orrendo, lo schifoso. E quindi bisogna punirmi, bisogna dare una lezione”.

Molto semplicemente non è così.

Le motivazioni del declassamento, diffuse attraverso le agenzie, precisano inequivocabilmente come la Commissione consultiva del Ministero, composta da tecnici e non da politici, si sia limitata a non esprimere alcuna valutazione, per il fatto che il Progetto Triennale firmato da Massini non presentava elementi sufficienti a configurare il pieno rispetto dell’art. 9 comma 1. del Decreto ministeriale vigente, requisito fondamentale per il riconoscimento dello status di Teatro Nazionale.

Motivazione tecnica dunque, non politica. Di carattere generale e basilare e non di merito, fondata sull’impossibilità di esprimere una valutazione per fatti oggettivi, e non valutazione di insufficienza.

La decisione ha portato poi una spaccatura all’interno della stessa Commissione. Tre commissari, Angelo Pastore (Regioni), Alberto Cassani (Province) e Carmelo Grassi (Anci), casualmente vicini al Pd, si sono dimessi in polemica con la decisione “della maggioranza della Commissione di voler declassare la Fondazione Teatro Nazionale della Toscana”.

L’esercizio della democrazia vorrebbe che nelle decisioni prevalga la maggioranza, e che quando questo succede, non ci si dimetta se le decisioni assunte dalla maggioranza non ci stanno bene.

Ma così va il mondo, in questo caso, quando non vincono loro.

Questa la parte tecnica. Per quanto attiene poi alla parte più specificamente teatrale e di merito, non è possibile non rilevare che il Sindaco Funaro ha cacciato brutalmente un ottimo Direttore Generale Marco Giorgetti che aveva prima salvato la Pergola dalla chiusura, poi aveva creato la struttura del Teatro Nazionale e poi l’aveva mantenuta con ricavi e presenze in costante crescita e grandi relazioni nazionali e internazionali. Da amministratore di teatro, Giorgetti era riuscito a far acquisire prestigio internazionale alla Pergola, con collaborazioni e coproduzioni importanti, fino addirittura a realizzare il nuovo spettacolo di Bob Wilson sul poeta Pessoa.

È innegabile che finora lo status di Teatro Nazionale sia stato mantenuto in ragione di questo livello di attività e di programmi, che hanno sempre avuto la caratteristica della pluralità e della varietà.

Conoscendo le regole e le normative in materia di affidabilità gestionale e continuità, come si può pensare che una scelta come quella di rimuovere una tale figura, sia priva di conseguenze?

Come si può pensare che un Teatro Nazionale, espressione di pluralità e democrazia, sia tutto incentrato su quanto voluto, determinato e deciso da un solo artista, fosse pure Stefano Massini?

Perché lo Stato dovrebbe investire su una struttura che è tutta incentrata su una sola visione e una sola modalità di realizzazione “monologante” e autoreferenziale?

La nuova direzione che ha in produzione uno spettacolo contro Trump e altri titoli che fanno politica più che teatro non può certo fare delle proprie scelte ideologizzate un simbolo di un martirio che non esiste.

La vera motivazione di tutto è forse il fatto che per condurre una macchina complessa e pubblica come un Teatro Nazionale occorre una vera competenza, e che questa macchina non consente di avere a disposizione una pagina bianca per scrivere qualsiasi cosa, e soprattutto non qualcosa che sia privo di pluralità e di confronto.

Un Teatro Nazionale non può essere il “Teatro di Stefano Massini” oppure usato dal Sindaco per fare attività politica.

Gli esperti e gli addetti ai lavori liberi lo sanno, lo rilevano e non possono non decidere di conseguenza, poiché devono fare il bene e gli interessi della “cosa pubblica” non di Massini o dell’ennesimo artista politicizzato. Quando non governa la sinistra però! Sennò va tutto bene.

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