Maestri Divini, da Bach a Händel da Rossini a Verdi

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Dal ‘500 ai contemporanei, l’Europa ha dato al mondo grandi capolavori universali di devozione in musica con gli Alleluja, i Requiem, gli Stabat Mater o i Te Deum

Da quando nel Rinascimento nasce la “musica colta” non sono solo i signori e i mecenati che ne godono. Far sì che a maggior gloria di Dio anche le chiese e le processioni risuonino dell’eccelsa bravura di compositori sempre più raffinati è diventata una delle caratteristiche dell’Europa. Unica civiltà al mondo ad aver dato uno slancio artistico alla musica, non più solo intrattenimento popolare o salmodia religiosa. Se l’Onnipotente ha donato all’uomo l’intelletto e la bravura è perché egli ne faccia uso per cantare le sue lodi. E così è stato.

L’elegante polifonia si è fusa coi ritmi marziali dei secoli di ferro – Cinque e Seicento – e ha partorito la perfezione delle scuole corali romana e veneziana e poi della musica barocca in cui il Signore Iddio degli Eserciti era portato in trionfo come un Re condottiero, perfino quando ancora in fasce nella mangiatoia, come nel “In dulci jubilo” del tedesco Michael Praetorius (1571-1621), scritto per la notte di Natale. I “Te Deum” del Seicento, poi, glorificano l’Altissimo per i momenti di gioia in secoli di guerre e pestilenze: l’uomo allora era forte e la sua musica altrettanto. La fanfara da parata militare con cui Marc-Antoine Charpentier (1643-1704) apre il suo di “Te Deum” è oramai famosissima, abusata come gingolino dell’eurovisione, ma è l’incipit di una preghiera guerresca, che infatti – nelle più recenti e filologiche esecuzioni – viene preceduta dal rullo dei tamburi.

E mentre ancora non si placavano i fuochi del Secolo di Ferro si accendevano i lumi. È il barocco di Johann Sebastian Bach a rivelare un’altra straordinaria prova di fede religiosa: la perfezione formale dei suoi capolavori è letteralmente matematica su pentagramma e per il fervore religioso che egli metteva nella composizione – che firmava sempre e solo con l’epigramma Soli Deo gloria – fu definito “il Quinto Evangelista”. Bach era nato nel 1685 in Sassonia, a pochi km e a pochi mesi da un altro genio: Georg Friedrich Händel. Influenzato dalla musica veneziana e trapiantato nell’Inghilterra protestante, Händel è rimasto celebre per gli oratori, un vero e proprio catechismo in musica. Il “Messia”, eseguito per la prima volta nel 1742, con il suo travolgente “Alleluia” doveva essere una celebrazione dell’intervento di Dio nelle vite degli uomini, contro il deismo illuminista. Paradossalmente fu una delle composizioni che inaugurò la moda dei concerti di musica sacra, in qualche modo rendendola profana, con grande scandalo dei fedeli più rigorosi.

Ma la religione cristiana è soprattutto una possente meditazione sulle avversità della vita, prove mandate dalla Provvidenza per forgiare le anime. La consolazione per l’uomo è che nessuna sofferenza può essere più grande di quella patita dal Salvatore e da Sua Madre. Così nascono gli Stabat Mater”, sul testo medievale del beato Jacopone da Todi, una riflessione poetica che si tramuta in alcune delle pagine più struggenti e intense mai scritte: da Palestrina a Giovan Battista Pergolesi, fino a Gioacchino Rossini, che conclude questa pagina con il celebre, potentissimo “Amen. In sempiterna”, un fugato che sarà d’ispirazione per Giuseppe Verdi, quando scriverà il suo “Requiem” proprio per i funerali di Rossini.

E oltre a quella di Verdi, i “Requiem” hanno attratto l’abilità dei compositori, da Wolfgang Amadeus Mozart (1765-1791), che lasciò il suo incompiuto, al francese Gabriel Fauré (1845-1924).

Il Novecento, secolo della scristianizzazione e del decostruzionismo, ha infine colpito anche la musica sacra. Cancellata o quasi dalla liturgia cattolica con le riforme del Vaticano II, abbandonata alle cacofonie blasfeme della scuola di Darmstadt, il Novecento ha prodotto pochissime pagine musicali in grado di avvicinare davvero l’uomo a Dio. È rimasto pressoché solo a difendere la tradizione compositiva Domenico Bartolucci (1917-2013), nelle cui intense opere sacre – scritte sotto il motto Psallam Deo meo”, canterò al mio Dio – ha vissuto la lezione della polifonia palestriniana, influenze del Novecento migliore (Debussy e Prokofiev) e del canto corale ortodosso, ma soprattutto uno sconfinato amore identitario per la sua Toscana.

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