Il vescovo di S. Francesco che divenne Giusto fra le Nazioni

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È appena passato il cinquantenario della sua morte, avvenuta a Trento il 25 novembre 1973: Giuseppe Placido Nicolini era stato per quarantacinque anni vescovo di Assisi. La sua figura è legata a due grandi passaggi storici: la proclamazione di San Francesco, con Santa Caterina patrono d’Italia, e la sua azione in difesa degli ebrei nella sua diocesi, per la quale gli è stato riconosciuto il titolo di “Giusto fra le Nazioni”.

Nicolini nacque nel 1877 a Villazzano di Trento. Insediatosi vescovo l’11 novembre 1928, monsignor Giuseppe Placido Nicolini lavorò alacremente perché San Francesco d’Assisi fosse proclamato patrono d’Italia. Il clima politico – dopo la Conciliazione fra Stato e Chiesa – era ormai maturo per arrivare a questo passo di enorme importanza religiosa e diplomatica. Non fu un lavoro facile: si partì con un appello rivolto nel 1937 ai vescovi ed agli arcivescovi italiani per vergare una richiesta al Santo Padre per la proclamazione di Francesco Patrono D’Italia. Ben in 166 risposero favorevolmente a questo appello e successivamente Nicolini inviò il voto ufficiale al Papa al quale seguì nel 1939 la proclamazione di San Francesco Patrono d’Italia insieme a Santa Caterina da Siena.

Con la tragedia della Seconda guerra mondiale e la Guerra Civile iniziata nel 1943, Nicolini si prodigò per salvare gli ebrei che si trovavano nella sua diocesi. Fu lui infatti a coordinare un comitato clandestino di soccorso avvalendosi della preziosa opera di don Aldo Brunacci, di padre Rufino Nicacci e dei tipografi Luigi e Trento Brizi. Monsignor Nicolini fece aprire le porte dei conventi, dei monasteri e, nei casi di estrema necessità, persino quelle delle clausure, in linea con la volontà del papa Pio XII. L’opera del vescovo di Assisi contribuì così a quel primato che la provincia di Perugia oggi vanta: nonostante la presenza di una piccola e compatta comunità ebraica, il Perugino non lamenta vittime nella persecuzione antisemita. “Non ci dimenticheremo mai di ciò che è stato fatto per la nostra salvezza – scrisse dopo la guerra Emilio Viterbi, un docente israelita che ad Assisi aveva trovato riparo insieme alla sua famiglia – e lo racconteremo agli altri ed ai nostri figli: perché in una persecuzione che annientò 6 milioni di ebrei, ad Assisi nessuno di noi è stato toccato”.

Il caso del capoluogo dell’Umbria è peculiare perché accanto all’opera di soccorso della Chiesa si vide quella di un medico della Wehrmacht tedesca, Valentin Müller, che aveva lavorato per la salvezza di molti ebrei proprio ad Assisi, ma anche del prefetto fascista, Armando Rocchi. Personaggio intransigente, perfino feroce – come dimostrò nella guerra in Iugoslavia e nella repressione di partigiani e renitenti alla leva durante la Guerra Civile – ma che nei confronti degli ebrei fu di tutt’altra pasta, impedendo in tutti i modi che i nazisti potessero deportarli. Una vicenda che ha dell’incredibile e che mostra quanto la storia sia sfaccettata e sia difficile dividere la lavagna in “buoni” e “cattivi”, ricostruita da Stefano Fabei in “Il prefetto Rocchi e il salvataggio degli ebrei” (Mursia)

Dopo la guerra gli ebrei di Trieste in riconoscimento dell’azione di Monsignor Nicolini gli donarono una campanella, posta accanto alla porta della residenza vescovile, simbolo della disponibilità eroica ad accogliere coloro che bussano.

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