Oriana Fallaci, ritratto di una scrittrice con “l’ossessione della dignità”

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“Ho sempre avuto l’ossessione della dignità e pensato che la cosa più importante fosse vivere con dignità, ora so che c’è una cosa ancora più difficile, ancora più importante che aver vissuto con dignità: è morire con dignità. E questa è, questa sarà, la vera prova del fuoco“.

Il 15 settembre 2006 ci lasciava Oriana Fallaci, una delle penne che ha rivoluzionato non solo il giornalismo nazionale ma anche internazionale. Una penna diretta, mordace ma soprattutto libera, in quanto aveva un solo padrone: la verità. “Io non sono un venditore di parole. Sono un venditore di idee che paga sempre per le sue idee, giuste o sbagliate. E quando gli stupidi hanno paura di me e non vogliono essere intervistati da me io rispondo: «Non hanno paura di me. Hanno paura della verità».

Una professionista sempre fedele a se stessa e quindi al suo modo di fare giornalismo che l’ha resa intramontabile: “Essere giornalista per me significa essere disubbidiente. Ed essere disubbidiente per me significa, tra l’altro, stare all’opposizione. Per stare all’opposizione bisogna dire la verità̀. E la verità̀ è sempre il contrario di ciò̀ che ci viene raccontato. La storia si scrive sulla verità̀ e non sulle leggende”.

Nonostante una vita dedicata al giornalismo la Fallaci non si è mai considerata un “vero giornalista”. “Sebbene continui questa storia della «grande giornalista», «uno dei giornalisti più̀ bravi del nostro tempo» eccetera. Io mi sono sempre considerata uno scrittore prestato al giornalismo, uno scrittore che s’è regalato troppo a lungo al giornalismo, e non un giornalista che poi s’è messo a scrivere libri”.

Il primo successo editoriale arriva nel 1961 con Il sesso inutile (Rizzoli), realizzato a seguito di un reportage sulla condizione della donna in Oriente. Una difesa delle donne di cui dà dimostrazione non solo coi suoi scritti ma anche con le sue condotte sfidando i potenti. Come successo in un’intervista fatta all’ayatollah Khomeini: “Grazie signor Khomeini. Lei è molto educato, un vero gentiluomo. L’accontento su due piedi. Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da medioevo“, riferendosi al chador che, a detta dell’ayatollah, indossavano solo “le donne perbene”.

Interviste fatta ai volti più noti dei suoi tempi, tra questi anche Alexandros Panagulis. Il leader dell’opposizione greca al regime dei Colonnelli, che era stato perseguitato, torturato e incarcerato a lungo. La Fallaci ne diventa la compagna di vita fino alla morte di lui, avvenuta in un misterioso incidente stradale il 1º maggio 1976. La storia di Panagulis verrà raccontata dalla scrittrice nel romanzo Un uomo, pubblicato nel 1979: “Io non avrò mai i baffi bianchi. Nemmeno grigi.”
“Li tingerai?”
“No, morirò molto prima. E allora sì che dovrai amarmi per sempre!”
(Un Uomo)

Ma la coppia aveva già vissuto dei drammi precedenti: la Fallaci era rimasta incinta del patriota greco, ma, dopo un litigio con lo stesso Panagulis, ebbe un aborto spontaneo. Un dramma a cui la donna non era estranea, visto che aveva già avuto degli aborti spontanei. Una situazione straziante che l’aveva fatta piombare in una profonda depressione, portandola addirittura a tentare il suicidio ingerendo una grande quantità di sonniferi.

Il dolore della mancata maternità viene raccontato dalla scrittrice in quello che diventerà un capolavoro senza tempo “Lettera a un bambino mai nato”, il primo libro a non essere frutto di un’inchiesta giornalistica, vendendo ben quattro milioni e mezzo di copie in tutto il mondo. «Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. Mi si è fermato il cuore». (Lettera a un bambino mai nato)

Una maternità che però ha vissuto in modo viscerale coi suoi libri. Come emerge da un’intervista in cui la Fallaci parla del suo rapporto con quello che lei definisce «L’Alieno», ossia un cancro ai polmoni. La Fallaci spiega che, quando le fu diagnosticato il cancro, era impegnata nella traduzione inglese di Insciallah, già ritradotto in francese a causa di una “traduzione pessima”. La donna si trovò così a dover scegliere tra “abbandonare il lavoro o correre subito dal medico”. Alla fine, dopo “una lunga, tormentosa notte”, decise di non lasciare l’opera incompiuta: […] “quando dico che tra me e i miei libri c’ è un rapporto materno che i miei libri sono i miei figli. Li concepisco, li partorisco, li amo li difendo e tra la propria salute e quella di suo figlio, tra la propria vita e quella di suo figlio, quale madre, non sceglie la salute di suo figlio e la vita di suo figlio? Io la penso così”.

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