Roberto Sarfatti: storia del patriota ebreo figlio di Margherita

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In una società che sembra voler decostruire ogni virtù nazionale, c’è ancora spazio per gli Eroi? Uno di questi Esempi per la Nazione fu sicuramente Roberto Sarfatti, il più giovane decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare nel primo conflitto mondiale e uno dei numerosi e troppo spesso dimenticati Patrioti italiani ebrei.

Nato a Venezia il 10 maggio 1900, Roberto è figlio di Margherita Grassini – in Sarfatti, perché con tale cognome sempre si sarebbe spesa -, appartenente a una famiglia ebrea veneziana che costruì una fortuna imprenditoriale non da poco, tanto da spostare la propria residenza dalla Giudecca (l’ex ghetto) al Canal Grande, in un palazzo dell’antica aristocrazia della Serenissima. Margherita cresce educata alla letteratura ed all’arte, cosa che si ripercuoterà negli anni successivi, quando ella pose le basi del famoso “Gruppo Novecento”, consentendo ad artisti come Mario Sironi di poter “sfondare” e consegnare la loro arte ed il loro nome alla celebrità dei posteri. Trasferitasi successivamente a Milano, Margherita conoscerà il suo futuro marito, Cesare, iniziando anche a militare nel partito socialista italiano, conducendo le prime battaglie nazionali per i diritti civili e sociali delle donne e a collaborare con il giornale “Avanti!”. È qui che conosce Benito Mussolini, diventandone dapprima seguace ed amica, poi collaboratrice nel 1915 a “Il Popolo d’Italia”.

Ma torniamo al figlio, Roberto Sarfatti. Fin da piccolo mette in mostra un carattere sensibile, indomito e acceso, facendosi coinvolgere ben presto negli eventi politici che fecero da preludio alle ostilità belliche: il giovane veneziano rimase molto colpito dalla retorica interventista di quegli anni, e decise di entrare a far parte dei circoli bolognesi favorevoli alla guerra. Conobbe Filippo Corridoni, il quale gli fornì un documento d’identità falso per potersi arruolare. Dopo alcuni mesi, però, l’inganno venne a galla e le autorità riconsegnarono il ragazzo alla propria famiglia. In seguito a una lunga diatriba con il padre, Roberto Sarfatti poté entrare nell’Esercito, questa volta dopo aver compiuto i 17 anni di età, realizzando quello che sentiva essere un dovere di uomo e di italiano, nonostante una vita che avrebbe potuto essere “comoda”.

In un suo profilo biografico scritto da Alfredo Panzini, amico di famiglia dei Sarfatti, recentemente ripubblicato dall’Associazione culturale Le Frecce di Roma nella collana “Eroi dimenticati”, si possono leggere le sue lettere, scanzonate (“mitragliatrici come comari che dicono maldicenze”, “pistole come uccellini che cantano”) e commoventi, ricostruendo un piccolo pezzo di storia, elevando questo giovane soldato come simbolo insuperato di quei personaggi che, con il loro sacrificio, hanno coronato la “quarta guerra d’indipendenza” e costruito l’identità italiana nei drammi e nel sangue delle trincee.

Il 28 gennaio 1918 inizia una battaglia importante per le sorti della guerra italiana, la battaglia dei Tre Monti: sarà la prima battaglia vittoriosa dopo la disfatta di Caporetto e stabilizzerà il fronte sull’altopiano di Asiago, in attesa della futura controffensiva del Solstizio. Roberto è appena rientrato da una licenza, chiede subito di andare in prima linea, sul Col d’Echele: ha solo 17 anni, ma guida un assalto ad una postazione austriaca, catturando diversi prigionieri ed una mitragliatrice. Non si ferma, torna all’assalto verso le linee nemiche e cade mortalmente ferito.

Un monumento in suo onore venne edificato nel 1935 da Luigi Terragni, nel luogo della sua morte terrena. Posto sul sacrario, vi è una lapide, che riporta le seguenti parole:

“Roberto Sarfatti
Volontario 17enne
Medaglia d’Oro
Caporale 6° Reggimento Alpini
qui cadde
questa terra rivendicando
all’Italia.”

Giacché Medaglia d’Oro è colui il quale si eleva, diventa esempio e patrimonio pubblico, cioè patrimonio immortale della nostra storia.

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