Shakespeare con la toga

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Non è difficile comprendere il successo (300 mila copie vendute) che ha riscosso “Il Sistema”, un libro straordinario perché, in modo piano e senza fronzoli, il dialogo tra Alessandro Sallusti e Luca Palamara svela il meccanismo perverso che regge la magistratura e che ha condizionato la politica in questi ultimi venti anni. Al di sotto della semplice cronaca, quasi anodina, con cui Palamara risponde a Sallusti, assumendosi le responsabilità di aver tirato le fila appunto del sistema, – una narrazione precisa, densa di fatti e circostanze e riscontri, che non indulge mai nella auto commiserazione o nell’auto celebrazione – c’è, se letto in filigrana, un vero copione degno di un grande drammaturgo, alla Shakespeare per intenderci, dove si susseguono colpi di scena, rivelazioni inaspettate, furbizie e tradimenti, accoltellamenti alle spalle anche tra amici e sodali. La forza è proprio quella di rivelare il marchingegno sottostante all’apparente normale vita pubblica di un Paese, l’esercizio talvolta spregiudicato del potere e la sua conquista, le congiure che si sono succedute spesso al di fuori dei normali percorsi democratici che avrebbero dovuto avere massima espressione in libere elezioni, e così non è stato, il mercanteggiamento continuo tra le correnti della magistratura, gli accomodamenti con il mondo politico, il tentativo di prevalere, e soprattutto una sorta di regime che si è abbeverato ai più logori diktat di una sinistra giustizialista e massimalista, capace di governare l’Italia nonostante fosse minoranza, attraverso le inchieste giudiziarie e il consenso che a queste hanno attribuito i mass media e l’intellighenzia radical chic. Al centro, acquista una dimensione quasi tragica, Palamara: perfetto conoscitore degli ingranaggi; egli sa che muovendone alcuni se ne mettono in moto altri, che a loro volta ne spostano altri ancora, così che anche l’ultima remota, più piccola rotella, pur distante dal centro, agisca di conseguenza e all’unisono con le altre. Per un certo periodo, proprio lui crede di essere ai vertici del sistema, ha infatti provveduto personalmente ad oliare ogni singolo pezzo così che non ci sia attrito alcuno, dato che tutto deve filare liscio, ma è una percezione errata visto che anch’egli sarà sacrificato così che tutto possa rimare uguale a prima. E così sarebbe finita, se non fosse che una felice congiunzione (qualche articolo di giornale, soprattutto il libro in questione e la meritoria trasmissione televisiva di Giletti che ha insistito sul tema) hanno tenuto desta l’attenzione degli italiani, tanto che il j’accuse di Palamara ha finito per scardinare, almeno in parte, la tetragona omertà sul tema, sgretolando la compattezza di molte procure, evidenziando le difficoltà e le contraddizioni i cui versa il Csm. La riduzione teatrale di questo libro mi ha dato dunque la possibilità di mettere in scena l’Italia che tutti sappiamo ma che nessuno si dice fino in fondo: uno spettacolo che mira, facendo leva sulla credibilità della parola e sulla drammaturgia escogitata con Edoardo Sylos Labini, a rendere ancora più indimenticabile il testo: una sorta di teatro civile e di verità, non quello a cui siamo stati abituati in questi decenni che, snaturando proprio l’idea di teatro civile, ha fatto propaganda politica e che è stato spesso un teatro di menzogna, di opinione partigiana, sbilanciato solo in un verso. Al contrario, una narrazione che si fonda sulla verità indubitabile del “colpevole”, quale si rappresenta Palamara

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