Tirate di capelli e cognomi: quegli “amici” delle donne solo a parole

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«Ogni cosa è fatta di tre punti di vista: il mio, il suo, e la verità”, frase celebre di Oriana Fallaci, che si potrebbe utilizzare per dare un titolo alla vicenda che vede coinvolte le giravolte dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi.

E, a proposito di titoli, «Il Manifesto di Ventotene» sarebbe l’ideale per indicare la causa scatenante di uno degli episodi più tristi e imbarazzanti della politica italiana di questi giorni. Infatti, tutto ha avuto inizio quando Lavinia Orefici, giornalista di Quarta Repubblica, durante l’evento «Libri Come» all’Auditorium Parco della Musica di Roma ha chiesto all’ex presidente del Consiglio un’opinione su un passaggio del «Manifesto», precisamente quello che fa riferimento alla necessità di limitare o abolire la proprietà privata.

Una domanda che ha particolarmente urtato la sensibilità di quest’ultimo, vista la risposta data: «Ma che cavolo mi chiede? Io non ho mai detto una roba del genere in vita mia». Alla replica della giornalista, che ha infatti specificato si trattasse di un passaggio scritto nel 1941, Prodi ha controbattuto con tono sarcastico: «Lo so benissimo signora, non sono neanche un bambino. Ma era il 1941, gente messa in prigione dai fascisti. Cosa pensavano secondo lei, al Trattato o all’articolo secondo della Costituzione? Ma il senso della storia ce l’ha lei o no?». Per soprammercato, però, la disapprovazione di quest’ultimo non si è fermata solo alle parole ma anche ai fatti. Ma andiamo per ordine.

In un comunicato rilasciato da Mediaset, Lavinia Orefici aveva affermato che Prodi le aveva tirato i capelli: «Ha preso una ciocca dei miei capelli e l’ha tirata. Non ho mai vissuto una situazione del genere». La stessa nota aveva parlato di un gesto fulmineo che aveva lasciato la cronista «scioccata e senza parole».

Il tutto seguito dalla smentita dello stesso attraverso una dichiarazione all’agenzia ANSA: «Non ho strattonato o tirato i capelli alla giornalista di Quarta Repubblica, ma come tutti i presenti possono testimoniare, ho semplicemente appoggiato una mano sulla sua spalla perché stava dicendo cose assurde».

Un’affermazione che ha segnato l’inizio di una serie di giravolte dettate da un’imbarazzante difesa e che, alla fine, ha dovuto lasciare posto alla verità. Infatti, mentre Prodi smentiva la giornalista rilasciando dichiarazioni, queste ultime venivano stroncate dalla diffusione nella trasmissione «DiMartedì» su La7 di un video in cui si vede effettivamente il professore afferrare i capelli della giornalista.

Immagini che parlano da sé e che, in due momenti diversi, hanno visto la reazione dell’onorevole: «Sapete quale ottimo rapporto ho con i giornalisti, ma se si vuole creare l’incidente contro un vecchio professore facciano pure, io gioisco. Il tempo chiarisce tante cose. Si scambia l’affetto con l’aggressione», questo è quanto Prodi aveva detto già in mattinata a Bruxelles, aggiustando il tiro delle sue giustificazioni.

In serata, invece, aveva riportato la sua posizione con una nota più dettagliata: «Il gesto che ho compiuto appartiene a una mia gestualità familiare. Mi sono reso conto, vedendo le riprese, di aver trasportato quasi meccanicamente quel gesto in un ambito diverso. Ho commesso un errore e di questo mi dispiaccio. Ma è evidente dalle immagini e dall’audio che non ho mai inteso aggredire, né tanto meno intimidire la giornalista».

Ma figura ancor peggiore l’ha fatta una certa sinistra, nota per la sua inarrestabile lotta contro il «patriarcato». Secondo Pier Luigi Bersani, ministro nel secondo governo Prodi, si è trattato di «un gesto da nonno», sottolineando però che la «giornalista non è sua nipote». A insistere “sul gesto da nonno” c’è stato anche il deputato Nicola Stumpo che ha parlato, infatti, di «carezza di un nonno per dare una lezione a una giovane giornalista».

Più dure, invece, le reazioni di Laura Boldrini: «Prodi ha sbagliato», ha detto la deputata dem. Pugno duro anche dall’ex «sardina» Jasmine Cristallo, membro della direzione del Pd: «Nella lotta contro i retaggi patriarcali il comportamento di Prodi non ammette giustificazioni».

“Il gesto di un nonno” da un lato, “un comportamento che non ammette giustificazioni” dall’altro. Reazioni contrastanti quasi a confermare l’ennesimo fallimento della sinistra nella difesa delle donne. Forse perché preoccupata della pagliuzza anziché dei problemi che, tuttora, affliggono l’universo in rosa? Un esempio lo si può constatare con la recente proposta di Dario Franceschini, senatore Pd, il cui scopo è quello di assegnare ai figli solo il cognome materno: «Dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre, stabiliamo che prenderanno il solo cognome della madre. È una cosa semplice ed anche un risarcimento per una ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere”.

Ma a Franceschini sfugge il fatto che, prima di garantire il solo cognome materno (che poi è comunque il cognome del padre della madre…) si dovrebbe garantire il diritto di essere madre senza rinunciare al diritto di avere un’indipendenza economica. Infatti ci sarebbe un certo articolo 37 della Costituzione che recita testualmente: «Le condizioni di lavoro (della donna) devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

Come sfugge altresì il passaggio in cui una discriminazione non si cancella sostituendola con un’altra, calpestando così l’art 3 della Costituzione. “Dettagli” che sembrano sfuggire alla sinistra, un po’ come sfuggono condotte sgradevoli viste come una sorta di «gesto affettuoso». Dopotutto non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

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