Lo stato della giustizia plasticamente rappresentato da due episodi di prima pagina: in Liguria la GIP, Giovanni Toti deve restare ai domiciliari perché da libero potrebbe reiterare il reato e chiedere finanziamenti illeciti in vista delle elezioni regionali del 2025.
In Ungheria, invece, l’elezione a europarlamentare di Ilaria Salis grida il “liberi tutti!” anche dai domiciliari, ai quali si trovava con l’accusa – ricordiamo – di aver partecipato a un’aggressione squadrista contro un attivista di destra.
Il caso Toti rasenta il golpe giudiziario. Praticamente a legger bene le motivazioni con cui il governatore della Liguria continua a restare recluso, in filigrana si intravede il “finché non ti dimetti non esci”. Scrive infatti la GIP che il pericolo di “reiterare il reato” “si configura vieppiù concreto ove si consideri che il predetto continua tuttora a rivestire le medesime funzioni e le cariche pubblicistiche, con conseguente possibilità che le stesse vengano nuovamente messe al servizio di interessi privati in cambio di finanziamento”. In altre parole il fatto di ricoprire ancora carica di governatore implica di per sé il rischio di commettere il reato di corruzione, per questo Toti deve restare agli arresti.
Sembra di essere tornati ai periodi più bui di Tangentopoli, quando carcerazione preventiva e domiciliare erano usati come strumento di tortura psicologica sugli indagati per spingerli a fornire confessioni che puntellassero i teoremi del pool di Milano.
Dall’altro lato della barricata, invece, il consenso alle urne riscosso da Ilaria Salis l’ha fatta elevare agli altari dell’Europarlamento. Per carità, vox populi, vox dei, ciascuno si scelga liberamente il parlamentare che più lo rappresenta.
A noi la libertà di avere e manifestare tutte le possibili riserve etiche su un personaggio (e – per riflesso – i suoi elettori) che è sotto processo per un’aggressione squadrista (parte di una serie di cui sono accusati i membri del gruppo di sodali della Salis), fatto per il quale due suoi amici hanno già patteggiato una condanna riconoscendosi colpevoli. Il tutto con un corteo di prefiche che attorno alla Salis non invoca la sua innocenza perché “estranea ai fatti” ma perché quei fatti “non sarebbero reato”, secondo la loro personale visione del mondo. Ammazzare di botte, nove contro uno, a colpi di manganello telescopico e spray al peperoncino un povero cristo solo perché attivista di destra sarebbe azione di cui gloriarsi, non motivo di vergogna (e figurarsi di condanna penale).
Esattamente il tipo di individuo che qualunque persona normale vorrebbe ritrovarsi in assemblea di condominio, insomma…
E non solo per la sua presunta partecipazione all’azione squadrista in Ungheria, ma anche perché il suo curriculum annovera altre quattro condanne definitive (per resistenza a pubblico ufficiale, invasione di edifici pubblici e accensione ed esplosioni pericolose per aver lanciato dei petardi oltre le recinzioni del carcere di San Vittore), per un totale di un anno e nove mesi di detenzione, 29 episodi nei quali sarebbe stata identificata dalle forze dell’ordine, e soprattutto un debito di 90 mila euro maturato con l’Azienda lombarda per l’edilizia residenziale, correlato a delle occupazioni abusive di altrettanti immobili in zona Corvetto e Navigli a Milano.
Quisquilie, secondo la coppia di coniugi Fratoianni\Piccoloti (entrambi deputati di AVS, lei opinionista su La7), “reati da centro sociale”.
Del resto, come disse qualcuno, viviamo nel mondo al contrario. Quello in cui si può costringere con atto giudiziario un rappresentante del popolo a dover scegliere fra la propria carica e la libertà, e quello in cui un procedimento giudiziario può essere interrotto perché il popolo ha scelto in stile “Gesù o Barabba”.