Le ecofollie della transizione verde

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I politici hanno la consolidata e curiosa abitudine di pensare che tutto possa essere risolto con una nuova legge. Un episodio di cronaca particolarmente efferato e violento già̀ punibile col Codice penale vigente diventa l’occasione per prevedere una nuova fattispecie di reato con pene più̀ severe. I media fanno il loro sporco lavoro ed il dibattito s’infiamma. Il femminicidio, ad esempio, diventa un’emergenza, come se invece uccidere un uomo fosse un’attenuante. E ovviamente per legge il politico pensa di modificare il clima.

L’Unione europea ambisce a quanto pare al ruolo di Ztl del mondo. La scelta di ridurre le emissioni di anidride carbonica diventa un must per Bruxelles. Nomi fighi vengono appioppati a questi programmi di decarbonizzazione. Fit For 55, ad esempio, nel “gergo europeese”, è il pacchetto (o forse sarebbe il caso di chiamarlo pacco). La presentazione del pacco che ne ha fatto il Consiglio europeo era condita di parole sinistre. È proprio il caso di dirlo. È “un insieme di proposte volte a rivedere e aggiornare le normative dell’Ue e ad attuare nuove iniziative al fine di garantire che le politiche dell’Ue siano in linea con gli obiettivi climatici concordati dal Consiglio e dal Parlamento europeo». E ancora: «Ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030». Ridurle del 55% rispetto a quando? Al 1990, anno di riferimento di tutti gli accordi internazionali sul clima a partire dal famoso, anzi famigerato, protocollo di Kyoto.

Qual è la situazione? Ovviamente l’unica cosa che l’uomo può̀ governare, a fatica, sono le emissioni di gas come la CO2. “A fatica” perché́ l’impatto sull’attività̀ industriale non è banale. Anzi è molto doloroso. Nel mio libro “Per non morire al verde” edito da Il Timone (“inspiegabilmente” più facile da trovare on line qui https://www.iltimone.org/prodotto/per-non-morire-al-verde/ piuttosto che in libreria e chissà perché) mi sono preso il disturbo di fare un paio di calcoli. Nel 1990 l’Unione europea emetteva quasi 4 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera: 3,87 per la precisione. Con sacrifici immani è arrivata nel 2022 a emetterne 2,76 miliardi. -1,11 miliardi. Più̀ o meno 34 milioni di tonnellate in meno ogni anno. -28% a conti fatti. Con quali risultati in termini di riduzioni delle emissioni a livello planetario? Nel 2022 l’uomo ha emesso a livello mondiale nell’atmosfera poco più di 37 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Oltre il 63% in più rispetto ai quasi 23 miliardi del 1990. In pratica, mentre proviamo a svuotare l’oceano col cucchiaino un’enorme cascata di dimensioni imponenti – quale ad esempio quella del Niagara – immette acqua in mare. Niente male come strategia. Ma c’è di più e di peggio. Di qui al 2030 per essere “Fit for 55” dovremmo tagliare le emissioni di CO2 di un altro miliardo di tonnellate. Dovremmo cioè arrivare ad emettere 1,74 miliardi di tonnellate di CO2 contro le attuali emissioni di 2,76 miliardi. Giusto per darvi un’idea, durante il 2020 -l’anno del lockdown – l’Ue ha tagliato le emissioni di circa 290 milioni. Per intendersi, servirebbe un arresto dell’economia permanente quattro volte più grande rispetto a quello sperimentato durante il covid. Il primo doveva servire a fermare il virus. Questo il caldo. Ditemi che tutto questo ha un senso: climatico ed economico. Ditemi che faremo nuovi posti di lavoro con questa transizione verde. E ditemelo rimanendo seri.

Foto metropole ruhr CC BY-NC-ND 2.0 DEED

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