Se la civiltà nasce quando gli esseri umani hanno iniziato a seppellire i propri morti e a onorarne le tombe, possiamo ben dire che essa giunge al capolinea quando smette di farlo. E il capolinea in questione è quello di Tiburtina, a Roma, accanto al monumentale Campo Verano, uno dei più grandi e antichi cimiteri della città, con una storia che risale al 1807.
Il capolinea di Tiburtina – con l’abominevole nuova stazione dell’alta velocità che ha sostituito la graziosa (e storica: era la stazione in cui arrivò il Milite Ignoto) struttura progettata da Angiolo Mazzoni – è una tendopoli di senzapatria e disperati. Sotto le mura del Campo Verano, poi, ci sono direttamente accampamenti con roulotte. Il degrado all’esterno del cimitero si riflette poi all’interno. Negli ultimi 20 anni, infatti, il Campo Verano ha subito una significativa decadenza a causa di vari fattori. Uno dei principali problemi è la mancanza di manutenzione e cure da parte dell’AMA, che fino a poco tempo fa ne aveva la responsabilità. Le infrastrutture sono in uno stato di abbandono, con molti edifici danneggiati, muri fatiscenti e tombe in cattivo stato di conservazione. La mancata manutenzione del verde fa sì che la natura si stia lentamente riprendendo i suoi spazi, con le radici degli alberi che spaccano le tombe da sotto, ma anche dal loro interno, crescendo nelle fessure, sugli spalti, sui tetti.
Contribuisce poi al degrado del Campo Verano l’elevato numero di furti e vandalismi che si verificano all’interno del cimitero. I visitatori lamentano spesso il furto di oggetti lasciati sulle tombe, nonché danni a monumenti e sculture funerarie. La mancanza di sicurezza e sorveglianza dentro e intorno al cimitero ha aggravato questa situazione. Di tanto in tanto si ha notizia di qualche emulo di “Totò cerca casa”, che elegge residenza in qualche cappella.
La situazione più vistosa riguarda le aree monumentali, dove il degrado è più evidente. Anche le altre aree, beninteso, sono neglette (basti vedere le denunce raccolte da Roma Today e dal Messaggero l’estate scorsa, con perdite d’acqua e aree ridotte a pantani, erbacce alte come una persona e zanzare ovunque), ma il Pincetto Vecchio e la zona militare sono quelle che soffrono maggiormente. Nel Pincetto, già offeso dalle bombe americane durante la Seconda guerra mondiale (va ricordata la Basilica di San Lorenzo sventrata e la tomba di Ettore Petrolini squarciata) molte fra le più venerande tombe sono diventate cave di reperti per ladri e vandali. Perfino l’inestimabile statua dell’Angelo della Resurrezione di Giulio Monteverde, copia dell’iconico originale che lo scultore realizzò nel 1882 per il cimitero di Staglieno a Genova, è stata vandalizzata, mutilata delle dita della mano destra. La tomba dello scultore, peraltro, è in stato di abbandono, come gran parte delle sepolture di questa area. Molte delle quali sono per giunta in lista per essere alienate, poiché le famiglie non si occupano più della loro manutenzione e il Comune si guarda bene dal prendersene carico.
Così, il cimitero che ospita le opere di grandi artisti dell’Otto-Novecento (oltre a Monteverde, basti citare il nome di Duilio Cambellotti, ma anche Gaetano Koch, Virginio Vespignani o Publio Morbiducci, solo per fare alcuni nomi) e dove riposano patrioti, statisti, scienziati, eroi, artisti, è lo specchio di una città oramai a misura di vandalo, di saccheggiatore, di abusivo. E il cittadino normale, messo in minoranza, fra uno slalom fra le erbacce e un equilibrismo fra transenne e camminamenti accidentati, rinuncia a vivere ciò che era suo un tempo.
Sì, però evitiamo sciocchezze: la stazione progettata da Mazzoni, quindi negli anni Trenta, non poteva accogliere il Milite Ignoto, che arrivò a Roma nel 1921.