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Oggi, 20 marzo 2022, sono passati 43 anni dall’assassinio di Mino Pecorelli, giornalista e direttore della rivista OP-Osservatore Politico (ma ahilui anche OP-Omicidio Pecorelli).
Come per altri misteri italiani, anche questa storia giudiziaria (e non solo giudiziaria) è una storia travagliata: ad oggi non sono stati individuati “al di là di ogni ragionevole dubbio” né i mandanti né gli esecutori materiali dell’assassinio. Solo la fine è nota, tanto per citare il romanzo poliziesco di Geoffrey Holiday Hall, poi diventato un film.
E la fine è quella Citroën CX Pallas verde, all’angolo con via Tacito, mezza sul marciapiede, con l’indicatore di direzione destro acceso, la retro inserita e il finestrino in frantumi.
Sono le 20.40 di martedì 20 marzo 1979, al lato guida e riverso sul sedile del passeggero, forse per prendere la pistola nel vano porta oggetti in un estremo tentativo di difesa, c’è Mino Pecorelli. Gli hanno sparato quattro proiettili, il primo dritto in bocca, come per mettere a tacere una volta per tutte “il cantante”: perché lo chiamano così, quel giornalista che chiede i contributi finanziari per OP agli stessi che poi sputtana sulle pagine di OP.
Pecorelli è al di là dei limiti deontologici e professionali del giornalismo oppure opera dentro questi limiti ma in maniera folle?
OP-Osservatore Politico è la rivista settimanale che dal marzo 1978 (proprio in concomitanza con il sequestro di Aldo Moro in via Fani a Roma la mattina del 16 marzo 1978) fa il grande balzo in avanti, dopo essere uscita come bollettino diffuso per abbonamento a un indirizzario selezionatissimo di politici, magistrati, avvocati, industriali, militari, giornalisti e alti prelati: ora invece questa pubblicazione, dove spesso gli articoli li capisce solo il cerchio magico della nomenklatura romana, scende dalle scrivanie giuste e arriva nelle edicole.

Ma chi tocca i fili muore e Mino Pecorelli con la sua OP ne tocca un verminaio: tanti sono i “cold case” in cui cercare la spiegazione dell’omicidio, dallo scandalo petroli a quello dell’Italcasse, dal golpe Borghese al crack della banca di Sindona, tanto per citarne qualcuno.
Chi ha ucciso Pecorelli? Perché? Chi sono i mandanti?
Ombre e misteri fanno da sfondo a tante possibili verità: ha scoperto dei segreti di Stato? O forse questi segreti di Stato sono i vizi inconfessabili di qualche uomo politico?
Chi, quella sera del 20 marzo 1979, quando devono ancora arrivare le Alfetta col lampeggiante, apre il bagagliaio della sua CX messa di traverso? E chi entra per primo nella redazione di via Tacito? Gli interrogativi sono tanti e non finiscono qui.
A un certo punto (è il 1992) Tommaso Buscetta dice: “Pecorelli e dalla Chiesa sono cose che si intrecciano“. Di qui il mistero del memoriale di Aldo Moro e di una sua parte mancante, che però ad oggi nessun comune mortale ha visto nemmeno col binocolo, un segreto di cui sarebbero stati a conoscenza sia dalla Chiesa che Pecorelli, memoriale rinvenuto nel covo brigatista di via Monte Nevoso a Milano nell’ottobre 1978, cinque mesi dopo il rinvenimento del cadavere di Moro nel bagagliaio della celeberrima Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani (è un dattiloscritto o ci sono anche documenti manoscritti? Ci sono forse anche delle bobine con la voce di Moro, come lascia intendere Pecorelli in un suo articolo?). E ri-trovato, una seconda volta, in fotocopie, nell’ottobre 1990.
Contengono forse qualcosa di sconvolgente per la sicurezza dello Stato queste verità nascoste del “memoriale Moro”? O forse riguardano qualcosa di indicibile per qualcuno dei “potenti”?

La storia dell’omicidio Pecorelli è del resto anche una storia giudiziaria dall’iter complicato, che dalla Procura di Roma devia a quella di Perugia per competenza territoriale e che alla fine non porta pressoché a nulla di concreto: chi e perché ha ucciso Pecorelli non si sa.
Idem per la pistola che ha sparato (nonostante i particolarissimi proiettili conducano ex post a un certo deposito, “free” per gli esponenti di una famosissima banda criminale romana).
Forse l’unica e plausibile spiegazione del delitto si basa sul rasoio di Occam, per cui la più semplice è quella giusta. E allora Pecorelli potrebbe essere stato ucciso per aver mandato in fumo il “piano di liberazione” architettato da un notissimo criminale (poi assassinato brutalmente da un altro galantuomo, lo stesso che con le proprie dichiarazioni manderà in galera il povero Enzo Tortora) per “guadagnarsi” la libertà, con in mezzo un noto falsario collegato alla criminalità romana (poi assassinato anche lui, ma non senza prima avergli fatto fare, non si sa da chi, un colpaccio miliardario in una società di trasporto valori della Capitale) e che a un certo momento dell’affaire Moro entra pesantemente con una sorta di messinscena vagamente teatrale.
Insomma, se quella del “boss dei due mondi” non è ‘na sòla (“Pecorelli e dalla Chiesa sono cose che si intrecciano“), allora, forse, questo intreccio passa per il sequestro Moro, un po’ per finta e un po’ per davvero: vaste programme, per dirla con de Gaulle.
Non possiamo qui addentrarci in una fittissima trama, ma se può valere (anche) questa ipotesi di spiegazione del delitto Pecorelli, allora la possiamo sintetizzare così. Niente politici, niente mafiosi, niente servizi “deviati” (che “deviati” lo sono per definizione, come dice Antonio Cornacchia alias Airone 1, all’epoca del sequestro Moro colonnello e comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Roma e arrivato per primo, o fra i primissimi, in via Tacito a cadavere di Pecorelli ancora caldo): Pecorelli e dalla Chiesa fanno saltare una macchinosa cialtronata (ma basata su fatti veri, cioè il sequestro Moro) organizzata da un ospite delle patrie galere per guadagnarsi i “titoli” per uscire di prigione.
Questa è una delle tante verità, magari la meno sexy, dell’omicidio Pecorelli.
Pecorelli muore il 20 marzo 1979, dalla Chiesa tre anni e mezzo dopo, il 3 settembre 1982 a Palermo, massacrato insieme alla giovane moglie Emmanuela Setti Carraro da “circa cinquanta colpi da 7,62 millimetri, un calibro da arma da guerra” (cit. Francesco Pazienza): troppo tempo per “intrecciarli“?
Post scriptum. Il tenente colonnello Antonio Varisco e il liquidatore del Banco Ambrosiano (crack Sindona) Giorgio Ambrosoli muoiono assassinati neanche quattro mesi dopo Pecorelli, rispettivamente il 13 e l’11 luglio. Tutti e tre, insieme a dalla Chiesa, un giorno si incontrano nell’ufficio del colonnello Varisco in Piazza delle Cinque Lune a Roma: è questa un’altra storia? E’ un caso se il bellissimo film del regista italiano ostracizzato dagli operatori chic, Renzo Martinelli, incentrato sul sequestro di via Fani, si intitola Piazza delle Cinque Lune? E’ anche questa un’altra delle (tante) verità dell’Omicidio Pecorelli?
Ma com’è che non c’azzeccate mai una volta coi calibri delle armi? Qualche giorno fa il 357 magnum per voi diventa 375, oggi il (presumibile) 7,62, diventa 7,2. Eppure ci sono testi, riviste, internet su cui documentarsi.
giusto, si è trattato di un refuso, che abbiamo prontamente corretto. il calibro naturalmente era 7,62, grazie della segnalazione
C’è qualche sms,’interpretabile’ solo da chi ‘di dovere’,allo scrivere dalla Chiesa e non Dalla Chiesa,essendo il Dalla parte integrante del cognome del generale?E perchè ‘lasciare a riposo’,solo x oggi passata la ‘festa’ forse?,il riferimento al ‘pasticcere’ o ‘pasticciere’,che il Pecorelli l’indomani avrebbe dovuto vedere,fra gli altri,a Milano,come risulta dai suoi appunti rinvenuti in casa?E chi era il ‘pasticcere’ o ‘pasticciere’?Sempre ‘lui’,e magari solo x ‘affari’?
dalla Chiesa si scrive così, don la d minuscola