Giulio Gavotti, il primo cavaliere del cielo della Superba

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Il 1° Novembre 1911, in piena guerra italo-turca (1911-1912), dall’abitacolo del suo fragile monoplano in tela Taube di fabbricazione tedesca, un ardito e barbuto sottotenente della neonata Aviazione Italiana, il genovese Giulio Gavotti, lanciò alcune rudimentali granate a mano Haasen di fabbricazione danese sul campo turco-senusso di Ain Zara, dando inizio ad un rivoluzionario modo di fare guerra. Da allora, come è noto, questa metodologia bellica ha compiuto straordinari e micidiali progressi, provocando nel corso del tempo immani distruzioni e milioni di vittime, basti pensare ai bombardamenti apocalittici della Seconda Guerra Mondiale: quelli convenzionali di Lubecca. Amburgo, Dresda (200.000 morti) e quelli nucleari di Hiroshima e Nagasaki (in totale, quasi mezzo milione di morti, quasi tutti civili). La primissima azione di bombardamento aereo della storia fu, dunque, opera di un noto e rispettabile cittadino genovese proveniente dal settore della navigazione civile (nel novembre 1897, Giulio Gavotti aveva fondato la Compagnia Ligure Brasiliana – Società di Navigazione per gestire un collegamento transatlantico tra il capoluogo ligure e gli scali brasiliani). Poco è stato scritto su questo uomo di mare prestato al cielo ed ancor meno si è voluto ricordare, soprattutto nel secondo dopoguerra repubblicano, il suo indiscutibile e prezioso apporto all’arte bellica aviatoria: qualità ritenuta evidentemente sconveniente in un’epoca dominata da uno pseudo pacifismo di maniera e dalla tendenza, da parte della cultura ufficiale, ad intingere il pennino soltanto nell’ingombrante calamaio del political correct. Detto questo, Giulio Gavotti, è stato, assieme al capitani Riccardo Moizo e Carlo Maria Piazza (anch’essi presente in Libia nel corso del conflitto tra Roma e la Sacra Porta) uno dei più arditi ed ingegnosi pionieri dell’aeronautica italiana ed internazionale: uno di quegli arditi del cielo che con le loro audaci e quasi suicide missioni ispirarono scrittori e poeti come Gabriele D’Annunzio e William Butler Yeats (“Io so che incontrerò il mio destino. Da qualche parte tra le nuvole. Io non odio coloro contro cui combatto, e non amo coloro che difendo. Fu un solitario impulso di piacere che mi spinse a queste zuffe tra le nuvole”). Giulio Gavotti nacque da agiata ed illustre famiglia il 17 ottobre 1882 a Genova, città dove compì i suoi studi di ingegneria. Attratto, anzi concupito dai ritrovati tecnici e tecnologici del nuovo secolo, e soprattutto dal neonato settore delle ‘macchine volanti, nel novembre del 1910, sul campo romano di Centocelle, volle frequentare uno dei primi corsi di pilotaggio, conseguendo il brevetto di ‘conduttore’ di pallone sferico e quello ben più gratificante di ‘aviatore’ a bordo di un primitivo e traballante velivolo Farman di fabbricazione francese.

In seguito allo scoppio della Guerra Italo-Turca (28 settembre 1911), Gavotti, assieme ad un primo contingente composto da piloti e specialisti e da un piccolo ma variegato quantitativo di mezzi aerei, composto da due Blériot XI, tre Nieuport, due Farman francesi e una coppia di Etrich Taube tedeschi, venne inviato a Tripoli, alle dipendenze del grosso Corpo di spedizione del generale Carlo Caneva incaricato di eliminare il presidio turco-senusso di Libia agli ordini del generale Ismail Enver. Va ricordato che nel 1911, gli aerei, autentici grovigli di fili sostenuti da ali di stoffa erano mezzi, come si è detto, molto fragili che venivano utilizzati essenzialmente come mezzi di osservazione e per dirigere il tiro dell’artiglieria. L’originalità dell’azione di Gavotti su Ain Zuara stette nel fatto che, di sua sponte, il pilota genovese volle andare ben oltre, scaricando sulla testa delle ignare truppe turche alcuni ordigni esplosivi. Con una sola (fortunata) azione, Gavotti trasformò dunque l’aeroplano in un’arma autenticamente offensiva a supporto dell’esercito, dando nel contempo anche alla stampa e alla propaganda, l’opportunità di raccontare le gesta dei nuovi cavalieri del cielo: uomini ‘moderni’ a bordo di macchine ‘moderne, ma al tempo stesso individui – e Gavotti nel rappresentava il perfetto prototipo – appartenenti ad una casta di combattenti amanti del rischio e rispettosi dell’onore e della tradizione. Come si è accennato, al di là dei modesti risultati pratici (le quattro bombette da due chilogrammi lanciate da Gavotti causarono molto baccano ma pochi danni al nemico), il gesto del pilota genovese colpì l’immaginario collettivo, tanto che il D’Annunzio volle celebrarlo in ‘Canzone della Diana’ (“S’ode in cielo un sibilo di bombe passa nel cielo un pallido avvoltoio Giulio Gavotti porta le sue bombe…”). Terminata la guerra con la Turchia, Gavotti rimase nell’arma e nel 1914 venne assegnato alla base idrovolanti del lago Trasimeno. Durante la Prima Guerra Mondiale, Gavotti fu istruttore e pilota collaudatore e negli anni venti capo sezione della produzione aeroplani presso la Direzione superiore del Genio e delle Costruzioni aeronautiche con il grado di colonnello. Negli anni Trenta entrò nel consiglio di amministrazione della compagnia aerea nazionale ‘Ala Littoria’, della quale fu ispettore capo. Morì a Roma il 6 ottobre 1939.

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