Giuseppe Mazzini: nazione, democrazia, destino

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Il Padre della Patria sognava un’Italia libera e affratellata con gli altri popoli

Pubblichiamo per gentile concessione dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano alcuni estratti dal saggio di Giovanni Belardelli «La nazione di Mazzini, oggi», contenuto negli Atti della giornata di studio «Giuseppe Mazzini nella storia d’Italia» tenuto il 19 giugno 2023 al Ministero della Cultura.

L’idea di nazione rappresenta uno dei cardini della visione politica mazziniana insieme ad altri due concetti continuamente ripetuti, democrazia e popolo. È necessario avere presente che il fondamento religioso dell’idea di nazione, che ho appena richiamato, se naturalmente per la nostra sensibilità risulta nettamente superato è però centrale nella sua concezione politica, fa sì che la lotta per la formazione e l’indipendenza della propria nazione assumesse un carattere di indiscutibile necessità. Vale per la nazione, in sostanza, quello che Mazzini dirà anche per altri aspetti fondamentali del suo pensiero: agli uomini si può dire di no, ma non a Dio. Pensiamo all’Europa del tempo: c’erano tre imperi sovranazionali (asburgico, ottomano, zarista), c’erano nazioni che erano divise (l’Italia e la Germania odierne): in questa situazione la nazione rappresentava appunto qualche cosa di indiscutibile perché si basava, da un lato, sulla volontà dei singoli individui che desideravano farne parte; ma si basava anche su un comando dall’alto al quale sostanzialmente – come ho detto – non si poteva rispondere negativamente. Quello della nazione e dell’indipendenza dei popoli in un quadro di nazioni affratellate è forse, dell’intera predicazione e azione mazziniana, uno degli aspetti più famosi, quello al quale sarebbe arriso in futuro il maggior successo. […]

Questo articolo è tratto dagli Atti della giornata di studio «Giuseppe Mazzini nella storia d’Italia» tenuto il 19 giugno 2023 al Ministero della Cultura.

Ci mette di fronte, evidentemente, a quella connessione stretta fra nazione e democrazia che si è affermata nella storia recente, quantomeno europea (le nazioni di altri continenti, derivate dall’esperienza coloniale europea, implicano un discorso abbastanza diverso). La nazione, pur con i suoi pregi e i suoi difetti, ha rappresentato infatti il contesto entro cui le democrazie contemporanee si sono sviluppate. È ancora vero o questa connessione fra nazione e democrazia è da considerare superata? Negli ultimi decenni, a partire dagli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, si è spesso detto e scritto che questa connessione fra nazione e democrazia è da considerarsi non soltanto superata, ma anche pericolosa. Si è venuta affermando una «sacralizzazione dei diritti umani» […]. Questa sacralizzazione ha fatto sì che si considerasse che il nostro futuro, ma già il nostro presente, devono vedere la scomparsa degli Stati nazionali in favore di una cosmopoli democratica, di una democrazia in cui esiste l’individuo con i suoi diritti e poi esiste, appunto, l’universo democratico mondiale. Questa concezione della democrazia – che è stata in qualche momento molto, come usa dire, mainstream – che cosa ha comportato? Ha implicato una colpevolizzazione di qualunque richiamo di una nazione alla propria storia, alla propria tradizione, al proprio passato visto non soltanto come qualcosa di vecchio e superato, ma come una sorta di anticamera del nazionalismo in senso aggressivo e dunque deteriore, se non direttamente del razzismo. Questo è quello che è avvenuto fino ad anni recenti, quando siamo stati sostanzialmente invitati ad abbandonare la connessione fra nazione e democrazia che ci consegna Mazzini, proprio perché il concetto di nazione sarebbe da maneggiare con cura, anzi da considerare pericoloso. Tutto questo è stato vero fino a qualche anno fa. Cosa è poi successo?  […]

La richiesta di un ambiente più familiare, conosciuto, fatto di persone a cui ci uniscono elementi di tradizione e cultura, rispetto alla presunta cosmopoli democratica, alla universale democrazia dei diritti. Dunque il ritorno alla nazione ha anche delle ragioni oggettive abbastanza forti. Noi «ritorniamo» – nel senso che riscopriamo, ridiamo legittimità a qualcosa che c’era sempre stato – alla connessione tra nazione e democrazia, che era postulata da Mazzini e che mi pare continui ad essere ineliminabile. […] Per Mazzini era essenziale che ciascuna nazione avesse e perseguisse un suo scopo, un suo fine; una nazione in sostanza non poteva limitarsi a esistere, sia pure come comunità democratica, ma doveva eseguire il compito che le era stato assegnato. […] Si tratta di una questione valida anche oggi. Ma l’Italia, noi tutti sentiamo di avere un compito, di possedere un’idea di nazione – di come il paese è e di come vorremmo che fosse – che ci guidi al di sopra delle scaramucce della politica quotidiana? Insomma, al di là della crescita economica e del benessere che ne deriva, cose da tenere ovviamente nella massima considerazione, quale significato ha per noi, oggi, l’Italia? Riusciamo a essere un paese o una nazione – i due termini hanno per Mazzini lo stesso significato – che si interroga su queste cose, vale a dire sul senso della propria identità nazionale?

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