Pino Rinaldi: “Con Detectives raccontiamo con passione il noir italiano”

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“Un viaggio al cuore delle indagini più intricate” è così che Pino Rinaldi, noto giornalista di cronaca nera, ha presentato la quarta stagione di Detectives – Casi risolti e irrisolti, il programma true crime di Rai Approfondimento in collaborazione con la Polizia di Stato. Una conduzione in chiave noir che si svolgerà in quattro puntate, trasmesse ogni giovedì in prima serata su Rai 2 e di cui la prima è già andata in onda lo scorso 20 febbraio, registrando ben 568.000 spettatori. Casi che verranno analizzati attraverso i reali documenti d’indagine e affrontati da vari professionisti e da chi ha condotto le indagini.

A proposito di Detectives, a suo avviso, quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere un detective e quali sono invece le condotte che potrebbero compromettere la credibilità di questa professione?

Il suo modus operandi non deve partire da preconcetti ma essere “scientifico” Non deve trascurare alcun minimo dettaglio, senza però neppure tralasciare quelle che vengono definite intuizioni.

Cosa intende per “pressione dei giornali sulle attività investigative”?

Intendo quel momento in cui il giornalismo d’inchiesta perde la sua natura degenerando in una sorta di accanimento terapeutico riguardo al caso in oggetto. Rimanere quotidianamente sulla stessa vicenda modifica il DNA del giornalismo di inchiesta tramutandosi in una vera e propria ‘soap crime’. Inoltre, una pressione mediatica continua e costante, come si verifica alcune volte, rischia inevitabilmente di compromettere il corso delle indagini: sentendosi sotto pressione l’accelerazione del lavoro investigativo può produrre degli errori.

Alla fine di ogni puntata di Detectives è riservato uno spazio intitolato “La storia di…” per dar voce alle vittime affinché possano raccontare “la loro esperienza, la loro voglia di giustizia, il loro dolore”. A proposito di vittime e carnefici, a suo avviso, nel nostro ordinamento giuridico la difesa della vittima e la rieducazione del reo sono rimasti solo nero su bianco?

Nel tempo, il nostro ordinamento giuridico ha presentato una maggiore sensibilità sia per quanto concerne la tutela della vittima che la rieducazione del reo. Su quest’ultimo aspetto si deve ricordare altresì che, sebbene il mondo carcerario sia un mondo complesso, vi sono seri professionisti che lavorano al fine di rieducare il reo proprio come previsto nella nostra Carta costituzionale.

Lei ha parlato di certezza della pena. A proposito di pena cosa pensa dell’ergastolo e della concessione della semi libertà?

 Se pensiamo ad esempio al beneficio della semi- libertà dati a personaggi condannati all’ergastolo o a pene importanti come Maurizio Minghella, Angelo Izzo oppure Antonio Mantovani, verrebbe da dire che sono stati commessi degli errori. Per questo motivo, il nostro ordinamento dovrebbe concentrarsi sul modo in cui vengono concessi questi benefici, soprattutto a chi ha commesso gravi delitti. In questi casi, le perizie sulla condizione psichica del soggetto dovrebbero svolgersi con maggiore attenzione per comprendere se ci sia stata o meno un’effettiva maturazione.

Detectives è un programma in chiave noir che si aggiunge ad altri da lei stesso condotti, come Commissari – Sulle tracce del male, Faking It – Bugie O Verità? Crimini italiani. Programmi che, seppur diversi tra loro, hanno lo stesso cuore pulsante, ossia la cronaca nera. Cosa l’ha spinta a dar vita a questi lavori?

La passione nel raccontare storie crime è stata la ragione per cui ho realizzato questi Programmi, Il mio interesse per i cambiamenti sociali mi ha sempre portato ad analizzare i crimini perché il “fattaccio” se ben raccontato è una cartina di tornasole per capire quella che è la realtà che viviamo. Ed è proprio questa mia curiosità che mi ha spinto a creare e condurre Vertigo, un programma in cui parlavo della società liquida partendo dall’ assunto di Bauman.

Cosa intende per società liquida?

Una società dove versa un’umanità che non ha più punti fermi e, per questo motivo, estremamente fragile. Una fragilità che, paradossalmente, cerca rifugio in vere e proprie forme ossessive: dalla ludopatia al rapporto ossessivo con la sessualità oppure agli accumulatori seriali fino a trattare del dramma degli hikikomori.

Chi l’ha visto? Detectives- Casi risolti e irrisolti, Commissari, Faking it-Bugie o Verità? Crimini italiani. Programmi che, sebbene diversi, hanno lo stesso cuore pulsante: la cronaca nera. Dal momento che hanno tutti lo stesso filo conduttore noir, in che modo è riuscito a tenere sempre accesa la curiosità dei telespettatori?

 L’unico strumento che ho è quello della qualità. Con l’esperienza acquisita in tanti anni di lavoro, ho capito che il pubblico televisivo vuole conoscere, sapere, entrare dentro. E raccontare storie di cui si parla poco, dando al telespettatore una visione completa sia sulla vittima che sul carnefice, è divenuto un obbligo morale.

A proposito di casi risolti e irrisolti, una vicenda che, a suo avviso, è rimasta irrisolta, nonostante la giustizia si sia pronunciata in modo definitivo, è quella del mostro di Firenze. Non per nulla, il titolo del suo ultimo libro parla chiaro “Il mostro è vivo se non è morto”. Cosa l’ha colpita maggiormente di questo caso?

Dopo che ho fatto un documentario “Il mostro di Firenze, il silenzio che non tace”, ho ricevuto una citazione da un magistrato. Lo stesso che avevo più volte incrociato in passato, quando, per “Chi l’ha visto”, raccontai il caso Narducci. Nel 2001 Mario Spezi, Nino Filastò, avvocato di Mario Vanni ed io eravamo la voce fuori dal coro che contestava e non credeva che i Compagni di Merenda fossero il Mostro di Firenze. Per l’amico Mario Spezi, invece, la situazione fu più grave, in quanto finì addirittura in galera, con l’infamante accusa di essere lui stesso appartenente a quel secondo livello che ordinava i feticci ai mostri di Firenze: Vanni Pacciani e Lotti. Oggi quanto da noi sostenuto viene condiviso dalla maggioranza.

A parte il mostro di Firenze quali altri casi irrisolti, o apparentemente risolti l’hanno particolarmente colpita? E perché?

Un altro caso irrisolto, secondo me, è il delitto di Arce. Il caso di Serena Mollicone si potrebbe considerare un esempio di mala informazione. Conseguenza inevitabile quando si instaura un legame tra la linea editoriale della redazione e i familiari della vittima. Questo, a maggior ragione, se si lavora in un clima concorrenziale molto forte. Un giornalista investigativo, invece, dovrebbe ragionare sui dettagli e questo è proprio quello che io ho fatto e faccio andando sempre per la mia strada. Un modus operandi che, nonostante mi abbia portato diverse peripezie, mi ha anche dato grandi risultati a livello qualitativo.

Qual è invece il caso risolto che ha lasciato il segno nella sua carriera giornalistica?

Il caso di Sandra Sandri. Nel 1998, a fine maggio, ero concentrato a Bologna sul caso che riguardava la scomparsa di questa ragazza, che sparì nel 1975. Per la vulgata si trattava di un allontanamento volontario, invece la storia era ben altra: alla fine, sebbene il corpo non fu mai ritrovato, si scoprì che la giovane donna era stata vittima di un omicidio. Qualche anno dopo, durante la diretta di “Chi l’ha visto”, ebbi il riconoscimento ufficiale sia per il mio programma che per il mio lavoro. Infatti, quanto avevo scoperto nel corso della mia indagine, era stato fondamentale nella soluzione di questo caso. Un lavoro che ha individuati responsabili, risolvendo il caso.

Quale crimine commesso sull’universo in rosa l’ha maggiormente colpita? E perché?

Sicuramente il caso di Sara di Pietrantonio, per la brutalità con il quale è stato commesso. Una storia in cui possiamo amaramente riscontrare la violenza inaudita che un rifiuto può provocare in una mente. Meccanismi psicologici che dovrebbero spingerci a fare un’analisi sul piano culturale e sul rapporto che intercorre tra la cultura e la personalità individuale.

Chiudiamo il cerchio con una frase tratta dal libro il cui protagonista è proprio il detective per antonomasia: Sherlock Holmes, scritto da Arthur Conan Doyle: “Nulla è più ingannevole di un fatto ovvio. Viviamo in un mondo malvagio, e quando un individuo intelligente decide di dedicarsi al crimine, è davvero la cosa peggiore. Trascorro tutta la mia vita nel continuo sforzo di sfuggire alla banalità dell’esistenza” . Lei come e quanto si identifica in questa descrizione? Ma soprattutto quanta somiglianza vede tra questa frase e quella da lei stesso rilasciata in un’intervista “Del resto, la vita è un dramma, l’epilogo è la morte, il finale non è vissero tutti felici e contenti. Non possiamo prendere le distanze dal dolore”.

Per quanto mi riguarda, una lettura materialistica dell’esistenza è limitata e limitante. Il senso profondo dell’esistenza mi ha sempre portato a guardare oltre la cortina di nebbia che limita il nostro sguardo e che nasconde un mondo la cui materia è a noi sconosciuta. La percezione di un tale universo non lo si trova nell’ovvio ma dietro e dentro le cose. Spesso si attraversa il dolore che se vissuto e accettato è la chiave per aprire le altre porte della nostra coscienza”.

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