Senza il padre non c’è legge nè Stato

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L’educazione non è istruzione. Fino a qualche decennio fa a specificarlo erano le professoresse di Lettere. Erano tempi in cui si studiava il latino già alle scuole medie perché, ti spiegavano, già a dodici anni le parole esprimono idee e se non si conosce l’origine delle parole poi non è chiara la cornice in cui maturano le idee e si finisce per pensare male. Educazione, dunque, viene da e-ducere, cioè condurre fuori, mentre in-struire significa, più o meno, mettere dentro. Così ci diceva la professoressa e, a suo merito, precisava che tirare fuori quello che già c’era in natura spettava ai nostri genitori, mentre il suo compito era metterci dentro la testa delle cose, che, nel suo caso, erano il latino e il greco che, ribadiva, servivano non a chiacchierare (essendo lingue “morte”), ma a imparare a pensare.

Oramai discorsi del genere non si fanno nemmeno nelle facoltà di sociolinguistica. E non è un bene.

La crisi, apparentemente irreversibile e inarrestabile, del sistema dell’istruzione in Italia non si risolve anche perché forse non ci capiamo più sulle parole. Alcuni genitori ritengono ancora che la scuola debba istruire, cioè dare ai bambini, e poi agli adolescenti, gli strumenti per affrontare il percorso cognitivo.

Le maestre si sentono offese se si fa notare loro che dovrebbero insegnare agli alunni a leggere, scrivere e fare di conto. Perché avrebbero studiato psicologia e pedagogia se il loro ruolo si riduce a correggere le doppie e gli accenti? A loro hanno spiegato che i bambini – come gli adulti – vanno “formati”. Ma anche qui bisognerebbe ricorrere al dizionario etimologico. Formare è dare forma, plasmare. Come si fa con la creta.

Quale sia il tipo di formazione da destinare a bambini e adolescenti è parte di un dibattito irrisolto tra genitori e insegnanti che oggi, per l’assurdo evolversi dei paradossi sociali, talvolta finisce in cronaca, con genitori che picchiano i professori proprio perché cercano di fare il loro lavoro e cioè formare il carattere, veicolare il senso del dovere, imporre un minimo di regole e di disciplina o addirittura esigere buone maniere. Tutte cose che i ragazzi dovrebbero imparare a casa.

In questa diatriba tra pretese e aspettative derivanti dal ruolo, ormai non chiaro, di genitori e docenti sfugge a chi non abbia figli in età pre-adolescenziale (categoria del tutto inventata per esigenze di mercato), che mentre si litiga tra educatori e istruttori, i nostri bambini vengono costantemente condizionati da altri, ovvero da blogger, youtubber e serie per adolescenti attraverso tv, tablet e telefonini.

Un bravo psicoterapeuta infantile potrà spiegarci che nella maggior parte dei casi i comportamenti per incomprensibili e devianti dei nostri figli di 8/10 anni, provengono dall’inconsapevole identificazione con i beniamini delle serie tv, da cui apprendono non solo il linguaggio, ma anche lo story-telling dei rapporti interpersonali e generazionali.

In questi casi, però, la soluzione non è lo psichiatra. Basta spegnere la tv e vietare il tablet. Il bambino piangerà, strillerà e vi dirà che vi odia… ma dopo un paio di giorni tornerà l’angioletto che era.

Fare il padre è un duro lavoro, ma senza padre non c’è autorità, non ci sono regole, non c’è legge e non c’è Stato. Insomma, proprio com’è adesso.

Marcello De Angelis