80 anni fa l’ultima eruzione del Vesuvio. Ma c’è ancora tanto da fare

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Il 18 marzo del 1944 ebbe inizio l’ultima storica eruzione del vulcano napoletano. Tutto comincio alle 16.30 di quel 18 marzo del 1944, dopo che alcune esplosioni e colate si erano verificare alcuni giorni prima. Altre importanti eruzioni avvennero nel 1871, 1884, 1891, 1895, 1899 e 1929. Le colate laviche invasero e distrussero parzialmente i paesi di San Sebastiano al Vesuvio e Massa di Somma, e si spinsero fino a Cercola, minacciando anche altri comuni come Terzigno, Pompei, Scafati, Angri, Nocera, Pagani e Poggiomarino. Gli abitanti di queste zone furono evacuati in gran parte dalle truppe alleate, che organizzarono un piano di soccorso e assistenza.

Circa 12.000 persone furono trasferite a Portici, dove furono ospitate in edifici pubblici e privati. L’eruzione causò anche 47 vittime, la maggior parte delle quali a San Sebastiano, dove 26 persone morirono per asfissia a causa della pioggia di ceneri e gas, come 2000 anni prima a Pompei ed Ercolano. Il 22 marzo l’eruzione cambiò carattere, diventando più esplosiva. La nube eruttiva raggiunse un’altezza di 6 km, e dal cono si staccarono valanghe di detriti caldi e piccoli flussi piroclastici, che scesero lungo i fianchi del vulcano. L’intera giornata fu accompagnata da una forte attività sismica, che si protrasse fino al mattino del 23 marzo, quando l’eruzione si ridusse alla sola emissione di cenere. Il 24 marzo le esplosioni si ridussero gradualmente fino a terminare il giorno 29, e con la persistenza delle sole nubi di polvere che fuoriuscivano dal cratere. L’eruzione del 1944 fu classificata come di tipo vulcaniano, con un indice di esplosività vulcanica (VEI) di 3, e produsse circa 21 milioni di metri cubi di lava e 50 milioni di metri cubi di prodotti piroclastici.

Dopo 80 anni, il 14 febbraio scorso, sono state presentate dal presidente del Consiglio dei Ministri le disposizioni per l’aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico. Il documento, che ha ottenuto l’intesa della Conferenza unificata lo scorso 6 febbraio, oltre a stabilire l’area da evacuare cautelativamente in caso di ripresa dell’attività eruttiva, definisce i gemellaggi tra i 25 Comuni che hanno aree ricadenti proprio nella cosiddetta zona rossa e le Regioni e Province Autonome che accoglierebbero nei loro territori la popolazione evacuata. Le aree da sottoporre a evacuazione cautelativa sono, infatti, sia quelle soggette ad alta probabilità di invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) sia quelle soggette ad alta probabilità di crolli delle coperture degli edifici per importanti accumuli di materiale piroclastico (zona rossa 2).

Il Vesuvio è uno stratovulcano, la cui attività è caratterizzata sia da attività effusiva, con emissioni laviche, che esplosiva emissione di ceneri, scorie e lapilli. La sua pericolosità è legata alla presenza di insediamenti sin sopra le pendici del vulcano, con circa 700.000 residenti esposti al rischio. Le tre tipologia eruttive ricorrenti nell’attività del Vesuvio sono le eruzioni ad esplosività moderata, tipo stromboliano, analoghe alle eruzioni del 1906 e 1944, con VEI 3. Le eruzioni del 472 d.C. e del 1631 con VEI 4, di media esplosività, tipo subpliniano. Eruzioni di elevata esplosività, di tipo pliniano analoghe a quelle del 79 d.C. Infine la camera magmatica viene stimata con volume di 2 Kmc”* spiega il geologo Paolo Marchili.

“Ecco perché diciamo che tanto si è fatto dal 1944, sia in termine di previsione che di pianificazione, ma tanto bisogna ancora fare. Ad esempio serve una corretta pianificazione urbanistica in funzione degli elementi di Protezione Civile da parte delle Amministrazioni, che sia per queste zone ad alto rischio una base essenziale dove poi proporre e plasmare i moderni PRG (Piani Regolatori Generali) sempre supportata ed interagente con la popolazione che vive in queste zone particolari”. dice l’architetto Maurizio Ulisse. Da ricordare infine lo splendido lavoro passionale di Giuseppe Imbò, Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, che mise a repentaglio la sua vita per compiere un lavoro scientifico e per documentare il tutto, lasciandoci una memoria storica-scientifica di alto spessore.

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