La Guerra Addosso, quella nostalgia delle nostre radici  

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«La nostalgia come senso di appartenenza» è una delle espressioni con cui Riccardo Arbusti ha definito su “Il Secolo d’Italia” il libro di Giuseppe Del Ninno “La guerra addosso. Grandi guerre e piccole storie familiari” (Oaks Editrice pp. 151, euro 18,00), presentato lo scorso lunedì nella sala della libreria Hora Felix da Luciano Lanna e Gennaro Malgieri. E la nostalgia è infatti la chiave per comprendere chi siamo e da dove veniamo, tanto più nell’epoca che ha fatto dello sradicamento dell’individuo la propria cifra distintiva.

Trovare negli scatoloni in cantina le foto dei propri nonni, i quaderni delle scuole elementari, i giocattoli salvati dai traslochi… il tutto appare come un’operazione di pulizia da robivecchi finché non si ha una persona accanto con cui condividere i ricordi e i legami che quegli oggetti rappresentano. Una condivisione che raggiunge il massimo quando la si fa con un figlio o un nipote. Allora là i propri memi – l’equivalente culturale dei geni biologici – vengono trasmessi. Una forma di riproduzione, e quindi di perpetuazione nelle generazioni, anch’essa.

Del Ninno, scrittore e critico cinematografico, ha compiuto questa operazione svuotando i propri scatoloni, gli album delle fotografie, le carte di famiglia, i racconti ascoltati coi lettori. Lo fa non solo con ciò che riguarda il proprio lignaggio ma anche con quello della moglie, perché l’individuo, ai fatti, non esiste in senso assoluto e il Giuseppe Del Ninno che scrive il suo libro di memorie non è più la stessa persona che era prima di essersi sposato. Noi siamo tanto noi stessi quanto la rete di relazioni di cui facciamo parte.

Le vicende raccontate in questo libro raccolgono così le esperienze delle parti di questa rete, di mondi diversi. Intanto diversi dal nostro, perché Del Ninno è della generazione nata dopo la guerra. Sono i suoi nonni, i suoi genitori e i loro parenti e quelli di sua moglie ad aver vissuto “la guerra addosso”. Ma soprattutto diversi da loro: la peculiarità di questo libro rispetto a molti altri racconti familiari è di narrare delle micro-storie da lati della trincea della Grande Storia molto differenti. Persone nate sotto bandiere diverse (e perfino morte sotto bandiere diverse, ma non anticipiamo troppo…) che durante la Prima guerra mondiale si sono trovate in campo italiano e in quello austriaco. Poi le effimere glorie coloniali e l’improvvisa discesa nell’incubo della Seconda guerra mondiale, con la tragedia dei bombardamenti, degli attentati partigiani e delle rappresaglie, la guerra civile… Anche qua, c’è chi è stato fascista, chi comandante partigiano. E persone che allargano i rami della famiglia fino all’oltreatlantico, e che ora riposano al cimitero militare di Arlington, a Washington DC.

Mezzo secolo (abbondante) di storia italiana raccontata da ogni sua sfaccettatura. La lezione che traiamo dagli intrecci che Del Ninno ci mostra è che è impossibile poi dividersi in noi e loro, figurarsi in buoni e cattivi. Le scelte della vita sono spesso casuali e non si dovrebbe aver troppo fretta di dare giudizi su quelle compiute dagli altri. E dunque, se anziché perder tempo a fare i giudici del passato (altra pessima moda del nostro tempo) ci dedicassimo di più ad ascoltarlo, questo passato, semplicemente per poterlo guardare e dire “così è stato”, forse potremmo apprendere qualcosa di più, su di esso e su di noi. Del resto, come ci mostrano tutte le foto, i cimeli e i ricordi che Giuseppe Del Ninno ci ha mostrato, noi è da là che veniamo. E se proviamo nostalgia per esso, le nostre radici ancora non sono gelate.

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