Palcoscenico da leggere. Un nuovo appuntamento di CulturaIdentità

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elvira

Prende il via oggi la pubblicazione di un diverso appuntamento culturale. Che poi diverso non lo è davvero, anzi, diremo il ripescaggio di un antico costume, ormai surclassato dalle moderne possibilità di comunicazione. Ma l’istinto di questa rivista, che ricerca l’identità di una cultura, ha certamente una vocazione decadentista e quindi ben si confà ad un ulteriore modo di diffusione letteraria. In un passato, freneticamente affossato dalla fretta e dalla necessità di riduzione, era in voga presso tutti i giornali, la “terza pagina”, uno spazio culturale creato per assecondare gli interessi degli avvezzi alla lettura. Il nostro giornale, in verità, di spunti riflessivi per incrementare interessi culturali, ne ha molti ed importanti. Non sarà spiacevole, crediamo, inserirne un altro.

C’è anche un altro impulso da assecondare.

Il direttore Edoardo Sylos Labini, ha un conto aperto con la letteratura ed in particolare con Gabriele D’Annunzio, del quale ha portato in scena, angoli del suo vivere. Noi qui tenteremo di promuovere il teatro attraverso la lettura, proprio come si faceva nello scorso secolo, quando venivano pubblicate sui giornali, a puntate, le commedie. Perché il Teatro è bellissimo da vedere, ma non meno penetrante da leggere, immersi, quando un testo coinvolgente lo consente, in una atmosfera surreale, in cui l’immaginazione e la curiosità permettono di “vedere” la scena che si sta svolgendo tra le pagine di uno scritto. La scelta cade ovviamente su un testo inedito, dacché diversamente si proporrebbe un prodotto facilmente fruibile e si svilirebbe l’interesse. No. Una nuova storia potrebbe intrigare menti curiose e se, come nel nostro caso, l’argomento è noto, ma ricco di informazioni nuove, permetterebbe al lettore di confrontarsi e di misurare le sue sensazioni.

Quello che vi proponiamo è la storia di Barbara, al secolo Elvira Natalia Fraternali, sposa infelice del Conte Ercole Leoni, che ha incrociato la prima parte dell’esistenza di Gabriele D’Annunzio, guadagnandosi, pur con dolore, una luminosa posterità tra gli studiosi ed i conoscitori del Vate. Oltre mille lettere, ormai quasi interamente pubblicate, scandiscono per lo più quotidianamente l’avvicendarsi e l’epilogo di un amore durato cinque anni.

Trasteverina, popolana nell’animo, appartenente a quella classe sociale che Ugo Ojetti definì, con velenosa intuizione, il generone, non aveva alcun retroterra esistenziale per attrarre, sedurre e coinvolgere il poeta abruzzese, tranne certamente una bellezza notevole che però da sola l’avrebbe relegata tra le possibili avventure di uno spazio temporale breve. Invece Elvira, pur non blasonata, conservava ottimi interessi musicali ( suonava bene il piano e D’Annunzio amava molto la musica) ed era fornita di una discreta cultura, da quell’avida lettrice che era. Curava la solitudine che la sua condizione di donna le imponeva, con le immagini oniriche che le si materializzavano dalla lettura. Er Sor Nicola, un padre alla ricerca ossessiva di migliorare la sua condizione sociale, di commerciante in un quartiere popolare di Roma, aveva fatto il colpaccio di indovinare il matrimonio con la prima figlia, Teresa, andata in sposa ad un facoltoso agente di borsa a Torino e mirava a ripetersi con Elvira. Le scelse un incolore funzionario delle Dogane, certamente attratto dalla possibilità di vedersi favoriti i suoi commerci, ma pur anche dal titolo nobiliare che il pretendente vantava. Vi vide una strada aperta per il successo ed il riconoscimento sociale, necessario alla sua condizione di arricchito economicamente, non assistita da interessi spirituali, che peraltro giudicava inutili fronzoli. Elvira non condivideva ed accettò di prendere la via di Milano dove il Conte viveva, non solo senza alcun entusiasmo, ma anche con pesantissime riserve. Le previsioni erano brutte e si rivelarono pessime quando dovette affrontare il ruolo di moglie.

Qui comincia il nostro racconto, che ci auguriamo, vi coinvolgerà, e vi farà attendere con ansia la pubblicazione delle altre puntate. Si apre con un colloquio tra Maria di Gallese prossima al parto del terzo figlio e donna Luisetta, rispettivamente moglie e madre di D’Annunzio per poi introdurre il forte legame delle sorelle Fraternali. Buona lettura.

ELVIRA

…paralipomeni di un amore noto

Personaggi

Maria Hardouin di Gallese

Luisa de Benedictis D’Annunzio

Teresa Fraternali

Elvira Natalia Fraternali Leoni detta Barbara

Ercole Leoni

Lavinia Taverna

Musica. Luce. Sullo schermo viene proiettata l’immagine dei Pescara di fine ottocento. In un ipotetico salotto di casa D’Annunzio a Pescara, discorrono la moglie di Gabriele D’Annunzio  in avanzato stato di gravidanza  e la suocera, Donna Luisa De Benedictis D’Annunzio. Compare la scritta

Agosto 1887

Pescara, corso Gabriele Manthonè. Casa D’Annunzio

MARIA: Cara mamma Luisetta, come state?

DONNA LUISETTA: Come stai tu, Maria…

MARIA: Bene. Un po’ appesantita. Ormai siamo alla fine.

DONNA LUISETTA: La pancia è bella dritta. Sarà certamente un maschio.

MARIA: Un altro? A me piacerebbe una femminuccia.

DONNA LUISETTA: Sarà quel che Dio vuole, figlia mia. E Mario? Gabriellino?

MARIA: Li ho lasciati con mia madre. Gabriele ha insistito tanto perché venissi qui, io l’ho assecondato, ma temo d’aver fatto un’imprudenza..

DONNA LUISETTA: Donna Natalia… Che dice?

MARIA: E’ preoccupata.

DONNA LUISETTA: Siamo tutte preoccupate. E’ la nostra sorte.

MARIA: Le cose non vanno bene, mamma Luisetta.

DONNA LUISETTA: No?

MARIA: La vita a Roma è diventata impossibile. Gabriele vive in un mondo tutto suo e spende sempre più di quel che guadagna. Siamo pieni di debiti e i creditori bussano quotidianamente alla nostra porta. Come suo padre…

DONNA LUISETTA: Non lo dire nemmeno. Tu non sai cos’è quell’uomo. E’ un debosciato. Mi ha rovinato la vita e l’averlo sposato è stata la disgrazia più grande che ho fatto. Sta distruggendo tutto quello che abbiamo. Ormai ci odia. Gabriele, no. Lui è buono. E’ incapace di fare del male.

MARIA: Mamma, voi vivete in un mondo tutto vostro, qui. Certe cose non le sapete. La verità che io e i bambini siamo abbandonati a noi stessi e Gabriele non si cura di noi. Pensa alle cose sue, alle donne e ai soldi che non gli bastano mai. Io non ne posso più, mammà. Così non è vita.

DONNA LUISETTA: I soldi sono importanti. Bisogna sempre tenerne conto.…E’ la profezia di mio padre.

MARIA: Che profezia?

DONNA LUISETTA: Quando nacque gli appoggiò sul cuscino un sacchetto di monete dal peso uguale a lui, secondo la nostra usanza propiziatoria. Era il primo figlio maschio.

MARIA: Monete sul cuscino? Perché?

DONNA LUISETTA: Perché la povertà stesse lontana da lui. Perché non dovesse aver bisogno di nulla. Perché non chiedesse mai niente a nessuno.

MARIA: Ecco, allora non ha funzionato. Perché chiede soldi a tutti. E non fa distinzione. Amici, parenti, strozzini…Soldi tanti, troppi. Soldi che naturalmente sa di non poter restituire. E così i debiti si accumulano.

DONNA LUISETTA: Vi fa vivere nel lusso. Ha sposato una duchessa. Sa che sei abituata bene e non vuole essere da meno. Lo fa per te e i figli. Gliene fai una colpa?

MARIA: Ma per carità, mammà… Alle nostre esigenze non ci pensa proprio.… I soldi vanno via per sciocchezze. Esce per pagare l’affitto e torna con una cosa inutile comprata dal rigattiere, solo perché l’ha vista passando e gli era sembrata bella. Intanto però restiamo indietro con le spese necessarie. Non ha alcun senso pratico. E’ così, tutte le volte.

DONNA LUISETTA: Ma, il lavoro al giornale? Quello va bene. Ci manda gli articoli e dice che a Roma si parla tanto di lui…

MARIA: Sì, è vero. Il lavoro va bene. Ma guadagna 10 e spende 100. Così restiamo sempre indietro. E poi è scontento. Dice che merita di più. Che è stanco di articoli scialbi e di notizie di cronaca. Sogna l’opera d’arte, degna delle sue possibilità.

DONNA LUISETTA: Povero figlio mio! Ha un destino segnato. Mi dice sempre che presto si parlerà di lui come il più importante letterato d’Italia. Si merita che tutti gli riconoscano la sua grandezza!

MARIA: Sì, ma intanto ci siamo anche noi, mammà. Abbiamo i nostri bisogni. Io non posso ricorrere sempre alla generosità di mia madre. Voi forse sapete le mia situazione familiare. Con mio padre si sono rotti i rapporti per il matrimonio con Gabriele e non c’è verso di poterli riallacciare…

DONNA LUISETTA: Questo mi dispiace. La tranquillità della famiglia andrebbe sempre preservata. Anche qui in casa abbiamo i nostri problemi e non sono piccoli.

MARIA: Lo so. Gabriele me ne ha parlato ed è molto preoccupato. Le notizie che arrivano da qui sono tutte brutte. Ma è vero?

DONNA LUISETTA: Ciccillo ormai fa vita per conto suo. Vive stabilmente con “la Pettinatrice” alla Villa del Fuoco…

MARIA: ( ricordando un momento felice) La Villa del Fuoco, mi ricordo la gestazione di Mario…

DONNA LUISETTA: Adesso è solo un ricordo. Nessuno di noi ci va più. Ciccillo ci ha proibito di avvicinarci; noi lo vediamo raramente, e solo per questioni di soldi. Io gliel’ho detto a Gabriele. Bisogna provvedere al più presto. Lo so che è una brutta azione contro il padre, ma dobbiamo rivolgerci al Tribunale per farlo interdire, prima che sbricioli tutto il patrimonio e ci trascini nello scandalo. Nello scandalo ci siamo già sprofondati, che almeno si salvi questa casa e quei quattro soldi rimasti, sempre che non ce li portino via prima.

MARIA: Gabriele ha saputo che suo padre si giace anche con le figlie di questa “Pettinatrice”, ma io non ci credo.

DONNA LUISETTA: Ciccillo è un diavolo. Un senza Dio. ( e si fa il segno della croce) Lo sai? Pare che le figlie siano le sue. Una cosa da far vomitare… Quello che succede alla Villa del Fuoco è fuori di ogni immaginazione. Senza morale. Senza salvezza. Senza scrupolo. E non si vergogna nemmeno. Tutti lo schifano. Persino i suoi contadini vengono qui a dirci che è impazzito.

MARIA: Evidentemente il tradimento è ereditario…

DONNA LUISETTA: Ma che dici?

MARIA: Eh, che dico, Mammà… Io avrei sopportato di vivere in restrizioni, ma non di essere pure tradita senza ritegno…

DONNA LUISETTA: Ma è un’infamia! Gabriele non sarebbe capace di far del male a te e i bambini. Gabriele, con suo padre, non c’entra niente!

MARIA: Mi dispiace tanto dirvelo e di distruggere l’immagine di vostro figlio che vi siete fatta e che vi hanno fatto credere. Ma Gabriele, non è poi diverso da suo padre…

DONNA LUISETTA: ( adirata) E tu come ti permetti di dire queste infamità e di dirle in faccia a me, impunemente?

MARIA: Mi permetto perché è la verità. Io sono la moglie più cornuta di Roma. Gabriele non si fa scrupolo di insidiare tutte le donne che incontra. Anche tra le mie amiche, tra le conoscenze della mia famiglia, persino una sua collega giornalista.

DONNA LUISETTA: Sono tutte luride bugie!

MARIA: Io vengo puntualmente informata con lettere anonime. E non ce ne sarebbe nemmeno bisogno, perché le sue avventure corrono sulla bocca di tutti e lui non si cura nemmeno di salvare le apparenze, per l’onore mio, della mia famiglia e dei figli.

DONNA LUISETTA: Io voglio che tu esca immediatamente da questa casa! Non sei degna di metterci piede. Adesso scriverò a Gabriele e lo informerò di tutto.

MARIA: ( mentre fa per alzarsi ) Lo sapete dov’è adesso?

DONNA LUISETTA: Certo che lo so. Me lo ha detto. Ad Ancona. Un importante incontro di lavoro con un suo amico influente che deve favorirlo presso un editore che voglia pubblicare un suo libro.

MARIA: Gabriele a quest’ora è in mare su un cutter d’alta quota di proprietà dell’avvocato Adolfo De Bosis. In navigazione sull’Adriatico. Sono diretti a Trieste. Il cutter si chiama Lady Clara e non è un viaggio di lavoro, ma di piacere. Probabilmente con una donna sconveniente.

DONNA LUISETTA: Non è vero!

MARIA: La donna si chiama Barbara. Ed è sposata. Una femmina dozzinale che vive in un quartiere popolare di Roma…

DONNA LUISETTA: Oh, madre santa… ( e si fa il segno della croce)

MARIA: …una schifosa che non ci ha pensato due volte ad abbandonare il marito per diventare l’amante di Gabriele. Tutta Roma lo sa. E lui non lo nasconde a nessuno. Sono l’argomento di ogni circolo. Ha voluto che venissi qui a Pescara per fare i comodi suoi indisturbato, in modo che terminassi la gravidanza senza che mi mancasse nulla…

DONNA LUISETTA: Giura che tutto quello che mi hai detto, è vero!

MARIA: E voi, mammà, pensate che io mi tiri addosso tutto questo fango, per il piacere di inventarmelo?

DONNA LUISETTA: Se è così, bisogna provvedere subito.

MARIA: Io riparto domani per Roma. Manca un mese al parto. Mia madre è preoccupata e io voglio stare tranquilla, ora che Gabriele è partito. Devo pensare a me, ai bambini ed a questa creatura che sta per nascere. Tutto il resto non ha più importanza.

DONNA LUISETTA: La sventura… la sventura è entrata in questa casa…

Buio. Poi luce. Le due donne sono sparite per far posto alle sorelle Fraternali. Il salotto ipotetico stavolta è quello di un albergo a Rimini, ove entrambe stanno trascorrendo le vacanze. Periodo coevo. Compare una foto di Rimini alla fine dell’Ottocento e poi una scritta.

Rimini. Fine agosto 1887

Albergo turistico

ELVIRA: Teresa cara. Gabriele si è imbarcato con Adolfo da Ancona. Mi ha scritto che farebbe tappa a Rimini. Ma qui ci sono i nostri genitori, gli amici e forse potrebbe presentarsi anche Ercole. Come faccio a stare con lui?

TERESA: Non ci stai, sorella mia. Glielo devi scrivere di non venire. Evita ogni questione, per favore. Sono più grande. Stammi a sentire.

ELVIRA: Non posso. Io non voglio stargli lontana nemmeno un minuto…

TERESA: Che guaio, Elvira…

ELVIRA: Barbara. Lui ormai mi chiama Barbara. Mi ha ribattezzato.

TERESA: Senti Elvira, io continuerò a chiamarti col tuo nome. Così ti ho conosciuta e così ti chiamavo mentre ti tenevo in braccio da poppante e continuerò a rivolgermi a te col vero nome. Elvira, ti chiami. Che c’entra Barbara?

ELVIRA: Elvira è morta. Si è portata nella tomba il dolore e il dispiacere di questi venticinque anni. Ha fatto solo scelte imposte da altri, e tutte contro la sua volontà.

TERESA: Questo è ingiusto nei confronti dei nostri genitori.

ELVIRA: Ingiusto, dici? Che bene ho conosciuto io? Un padre e una madre che litigavano sempre e non perdevano occasione per picchiarmi, se non facevo quello che volevano loro?

TERESA: Nessuno è contento dei propri genitori. Di loro te ne accorgi solo quando non ci sono più.

ELVIRA: Io, che ci sono, me ne accorgo e me ne sono sempre accorta, Teresa. Ti ricordi Puccio? A schiaffoni me l’hanno fatto lasciare. E per chi poi?

TERESA: Ma su, Elvira…che futuro ti avrebbe assicurato quello lì? Una vita di privazioni e di rinunce…

ELVIRA: Invece Ercole era il principe azzurro, vero? Con Puccio ci volevamo bene. Tanto. Una cosa che né mamma, né papà potevano apprezzare; loro,  che il bene non sanno nemmeno dove stia di casa…

TERESA: I genitori cercano il miglior partito per i figli.

ELVIRA: Era Ercole il miglior partito? Dai, per favore… Dici bene tu. Hai sposato Carlo, una persona squisita. Un brillante avvenire. Il trasferimento a Torino, tanto lontano da Roma e tanto distante da loro, dalle brutture di casa…

TERESA: Carlo ha un cuore d’oro. Ti ha fatto studiare pianoforte a Milano, pagando le lezioni al Conservatorio perché ti rifacessi una vita nuova e tu l’hai ripagato mollando tutto e ritornando a Roma.

ELVIRA: Lo so. E mi dispiace veramente tanto. Ma non ce la facevo più e non immaginavo che il peggio dovesse ancora venire… ( e piange )

TERESA: E su, adesso, basta recriminare…

ELVIRA: ( con rancore ) Se penso che papà, per il suo tornaconto personale…

TERESA: …ma non è stato solo quello…

ELVIRA: …per il suo tornaconto personale! Solo per quello, Teresa! Ha creduto che Ercole, con il suo lavoro alle Dogane potesse favorirlo nel commercio e mi ha buttato tra le sue braccia…

TERESA: La verità è sempre difficile guardarla in faccia, Elvira…

ELVIRA: Questa è la verità. E tu lo sai…

TERESA: Aveva pensato che ne venisse qualcosa di buono. Certamente voleva il meglio per sua figlia.

ELVIRA: E meno male che voleva il meglio… Ma io? Non contavo? A ventidue anni avrebbe dovuto ascoltare anche la mia opinione, no?

TERESA: Elvira, tu non capisci. Una bella donna che a ventidue anni non si è ancora sposata desta qualche sospetto. La gente mormora. Papà credeva che fossi arrivata al limite e non voleva farti rimanere zitella.

ELVIRA: Sarebbe stato meglio piuttosto che andare sposa ad un disgraziato, manesco e puttaniere, che mi ha rovinata.

TERESA: Ma questo, papà, non lo poteva sapere… Aveva chiesto informazioni. Sembrava una brava persona…

ELVIRA: Aveva chiesto informazioni commerciali.

TERESA: Erano buone. Sembravano buone…

ELVIRA: Ma per favore, Tu lo sai bene.…S’è fatto abbindolare quando Ercole gli ha detto che era conte ed ha pensato che avere una figlia contessa fosse un modo per salire velocemente la scala sociale. Informazioni personali doveva prendere ed avrebbe scoperto di avere davanti un impostore.

TERESA: Che brutta quella lettera, Elvira… me la ricordo ancora. Una fitta al cuore. Non smettevo più di piangere. Davanti a Carlo, poi, che mi chiedeva preoccupato che fosse successo; che non capiva, perché non sapeva la tragedia…

ELVIRA: Dal medico, capisci? L’ho dovuto sapere dal medico…

TERESA: E’ stato imbarazzante parlarne con Carlo, che era estraneo alla situazione, immagino quello che sia stato, affrontare il discorso con Ercole.

ELVIRA: No. Con Ercole non è stato difficile. Ero troppo arrabbiata. Mi è uscito tutto di colpo appena è ritornato dalla Campania. Lo aspettavo e me lo so’ magnato.

TERESA: Quando ti arrabbi, parli in romanesco…

ELVIRA: Sono romana. Sono trasteverina. E’ la mia natura. Quando la rabbia mi sale agli occhi non ci vedo più ed esco al naturale. Mi succede anche quando litigo con Gabriele.

TERESA: Ma perché non mi hai detto niente dei tuoi disturbi? Ti avrei potuto aiutare. Sarei venuta con te a fare la visita. Non ti avrei lasciata sola.

ELVIRA: Non lo sapevo nemmeno io, Teresa.

(…continua)

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