Buon 2021 dalle Città Identitarie

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Il Manifesto delle Città Identitarie

Ecco i nove punti per rilanciare i nostri Borghi e le nostre province

Sono già oltre cinquanta i Comuni che, in due mesi, hanno aderito alla nostra Rete delle Città Identitarie, spinti dalla voglia di far sventolare, in un mondo sempre più globalizzato, il proprio gonfalone e di raccontare orgogliosamente la storia, la cultura, i costumi del proprio territorio. In questo Manifesto, che ho elaborato insieme al direttore Sansoni e al nostro Direttivo, firmato da Sgarbi, da Veneziani e da tanti altri intellettuali, lanciamo una visione che fonde tradizione ed innovazione: perché il Paese rinasca attraverso le nostre splendide città di provincia, sensuale racconto dell’Italia più bella, ancora tutta da scoprire.

(Per i Comuni che desiderino aderire: [email protected])

IDENTITÀ
L’Italia minore e l’Italia migliore. Quella poco conosciuta, quella che scopriamo quando usciamo dall’autostrada e ci inoltriamo nel reticolo di strade provinciali lontano dalle grandi direttrici, lasciandoci condurre dalla curiosità e dalla bellezza del paesaggio. È allora che riscopriamo l’Italia interna, l’Italia profonda, quella che retoricamente è chiamata “dei mille campanili”, che poi sono “mille borghi” carichi di Storia, Chiese, Castelli e casette multiformi, che ne costituiscono “la spina dorsale” da oltre mille anni. Un’Italia diversa da quella delle metropoli, alternativa e complementare a quella costiera, dove si conservano ancora usanze, tradizioni, rituali e credenze che alimentano il genius loci, congiungendo in uno spazio preciso, in quel luogo, passato presente e futuro. Lì troviamo un’identità, viva perché spesso inconsapevole, colta perché non intellettualisticamente costruita, vera quando di essa non resta soltanto il godimento paesologico, da difendere ridandole un’abitabilità autentica, fatta di lavoro, produzione, servizi, istruzione e, dunque, avvenire. L’avvenire di quei valori ancestrali che ne hanno reso gli abitanti, per secoli, in grado di resistere alle avversità e al mutare dei tempi. Una biodiversità culturale senza paragoni nel resto del mondo, di cui avere cura se vogliamo continuare a essere-nel-mondo con una nostra tipicità.

BENI CULTURALI
I borghi splendidi della nostra Italia sono l’unità minima di quelle “patrie singolari”, di cui parlava Carlo Cattaneo, che custodiscono la vera identità di un popolo per sua natura plurale. È quindi imprescindibile che il giacimento di bellezza che essi contengono, il patrimonio culturale materiale e immateriale, debba essere tutelato, conservato e valorizzato. I beni culturali (chiese, castelli, palazzi, musei…) di ogni più piccola particola di territorio italiano rappresentano la ricchezza di una nazione fondata innanzitutto sull’arte e sui prodotti di una creatività millenaria che non ha soluzione di continuità e che si è stratificata lungo i secoli, sedimentandosi nei paesaggi più belli del mondo.

RIPOPOLAMENTO
Il più grande nemico dei nostri borghi, in particolare delle aree interne dell’Appennino
centro-meridionale, è lo spopolamento, frutto non soltanto della inevitabile capacità di attrazione dei grandi centri urbani, ma anche della progressiva desertificazione di insediamenti produttivi e della riduzione di risorse disponibili a favore degli enti locali, che hanno costretto i sindaci a ridurre i servizi di prossimità a favore dei cittadini. Ciò ha generato un ulteriore diminuzione della popolazione giovane o in età da lavoro, con il risultato che ad abitare questi centri restano solo gli anziani e, spesso, gli immigrati distribuiti nei centri d’accoglienza, unica possibilità per gli amministratori locali di recuperare ed utilizzare risorse da riversare sul territorio. Di fatto è in questo entroterra che si realizza il fenomeno della grande sostituzione. Solo un cambio di paradigma culturale e, soprattutto, economico, che favorisca il reinsediamento produttivo, manifatturiero o agricolo, potrà davvero arrestare questo processo, incentivando giovani e adulti in età fertile a trasferirvisi.

MOBILITÀ
Un tempo le ferrovie italiane arrivavano ovunque. Anche il più piccolo e sperduto comune aveva la sua stazioncina che garantiva un collegamento, per quanto tortuoso, ai grandi assi viari. La privatizzazione del comparto ha determinato la rarefazione del trasporto regionale e lo stesso è accaduto nell’ambito della viabilità stradale e autostradale. Quando si parla di un ritorno all’intervento dello Stato in economia, non è a rinnovate forme di assistenzialismo che ci si riferisce, ma a una politica di investimenti, innanzitutto infrastrutturali, che riconnettano ampie aree del paese oggi emarginate (in particolare sud e aree interne) ai grandi flussi viari italiani ed europei. Parliamo dunque di un rilancio della logistica, magari in forme sostenibili dal punto di vista ambientale, presupposto imprescindibile per la crescita del paese e della ri-abitabilità dei borghi.

ARIA
Respirare aria pulita è un diritto che spesso ci viene negato nelle grandi città ed è invece un requisito indispensabile se si vuole migliorare la qualità della vita. Un bene comune di cui le aree interne sono invece ricchissime, da valorizzare, tenuto conto che, secondo studi recenti, l’Italia è il primo Paese in Europa per morti premature da inquinamento dell’aria.

CIBO
I prodotti agroalimentari sono la memoria e la ricchezza del territorio, un patrimonio di tradizioni, gesti, culti e di civiltà. La produzione e il commercio di cibo sono un elemento di comunicazione con il resto del territorio per circa la metà dei comuni italiani che ricadono all’interno di un sito tutelato. Gli abitanti hanno costruito da tempo una sorta di alleanza tra l’agricoltura e il territorio che favorisce la conservazione del paesaggio e la biodiversità. In questo contesto l’agricoltore diventa “custode” della terra e instaura un rapporto con il territorio e con il consumatore attraverso il commercio di prodotti biologici a filiera corta. L’attività degli agricoltori è l’ultimo baluardo del legame tra la produzione agroalimentare e il rispetto del territorio reso ancora possibile grazie a quegli strumenti, la tradizione e la manualità, ormai sepolti dall’innovazione tecnologica. L’agricoltore è il custode della terra e delle tradizioni.

BANDA LARGA
Se il futuro sarà all’insegna della banda larga, della fibra ottica, del 5G e delle comunicazioni ultraveloci, la scelta per i nostri borghi e le nostre imprese, anche per resistere alla delocalizzazione produttiva e allo spopolamento, è obbligata: avere più Giga possibile, stare nella Rete, con l’obiettivo di divenirne il centro. La rinascita economica italiana poggia sulla rivalutazione e rafforzamento delle identità territoriali e produttive, sul posizionamento locale in antitesi alle forze competitive globali. Una rivalutazione che dipende dalle capacità di produrre o acquisire innovazioni, e di diffondere le proprie produzioni nei mercati globali. Piccolo è bello, ma per vivere deve essere forte e potente; e la forza per i nostri borghi e le nostre imprese sta nella capacità di stare nella Rete, di usare le innovazioni e soprattutto di fare Rete. È un’esigenza inderogabile che il pubblico deve assumersi, sia per la portata dell’investimento, che può generare ulteriore ricchezza e lavoro, sia per la necessità di realizzare questo processo di modernizzazione nel massimo rispetto dell’ambiente, della salute dei cittadini e della difesa dell’interesse strategico nazionale.

IMPRESA
Al centro della riscoperta e del rilancio delle Città identitarie non può non esserci il lavoro, fattore indispensabile al loro ripopolamento, e dunque l’impresa, quella in linea con la migliore tradizione italiana, fatta di creatività, responsabilità sociale, sapienza artigianale e manifatturiera e radicamento territoriale.

RICOSTRUZIONE
Il recupero dell’abitabilità dell’Italia profonda passa anche e soprattutto, infine, per la ricostruzione post-terremoto delle aree colpite negli ultimi anni da simili calamità e, più in generale, dalla capacità di indirizzare una parte cospicua degli investimenti pubblici e privati nella prevenzione dei danni sismici e di quelli indotti dal dissesto idrogeologico. C’è un immenso lavoro da mettere in campo in questo senso, un’azione che interesserà almeno due generazioni. L’economia green di cui tanto si parla e a cui sono legate le risorse del Recovery Fund vanno indirizzate in questa direzione.

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