Il Santo Uffizio in Sicilia

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Erano rinnegati e prostitute, negromanti ed ebrei, ecclesiastici ed eretici, tutti stipati in condizioni pessime e senza cibo. Ancora oggi è possibile vedere i loro graffiti lasciati sui muri delle loro prigioni, testimonianza di orribili sofferenze patite nelle quattordici celle del Carcere dei Penitenziati.

Siamo a Palazzo Chiaramonte Steri, a Palermo, che fu sede del Tribunale dell’Inquisizione spagnola dal 1601 al 1782.

Nel libro “Del Santo Uffizio in Sicilia e delle sue carceri”, ed. Viella, Giovanna Fiume, professore ordinario di storia moderna all’Università di Palermo, tra i massimi esperti della storia del Tribunale del Santo Uffizio, racconta questa vicenda lunga oltre due secoli :”Sulle pareti di uno spoglio edificio carcerario palermitano, all’interno del complesso monumentale dello Steri, tra il 1601 e il 1782 sede dell’Inquisizione spagnola,  i prigionieri hanno graffiato, disegnato, scritto nomi, date, preghiere, salmi, poesie, santi, imbarcazioni e battaglie navali”.

L’Inquisizione spagnola rappresenta uno dei momenti più bui della storia siciliana poiché, rispetto a quella romana nel resto d’Italia, ebbe molto più potere: nell’isola, sin dal Medioevo, gli inquisitori erano stati delegati dal papa, il Re Ferdinando II di Aragona si avvalse del privilegio dell’Apostolica legazia, concesso da Urbano II a Ruggero I nel 1098 in forza del quale i sovrani dell’isola erano “legati nati” del pontefice e potevano rivendicare il controllo di tutta la materia ecclesiastica. L’Inquisitore emanava l’edictum fidei e chiedeva ai fedeli di denunciare chiunque fosse sospettato di eresia, di stregoneria, di compiere sacrilegio, apostasia, di possedere libri proibiti, di bestemmiare, chi commetteva reati di natura sessuale e usura. Ad essere colpiti dalle accuse dell’Inquisizione non erano solo gli uomini, ma anche le donne, sospettate soprattutto di avere a che fare con la magia.

 L’ex abrupto era la rigorosa procedura secondo la quale la cattura avveniva senza preavviso e anche il processo veniva svolto in segreto, sulla base di delazioni e prove non sempre del tutto attendibili, rese schiaccianti dal potere dei giudici del tribunale, e dai metodi di tortura.

Seguivano la condanna e l’autodafè (letteralmente “atto di fede”): una cerimonia di riabilitazione pubblica in cui il condannato sfilava in processione per le vie della città, tenendo in mano la palma e una candela, a simboleggiare la luce interiore della fede.  Per un certo periodo veniva sottoposto al continuo controllo del tribunale oltre ad aver confiscati i beni, che rappresentavano le massime entrate del Tribunale e a essere interdetto dai pubblici uffici. Il recidivo veniva scomunicato e consegnato al tribunale civile che si sarebbe occupato dell’esecuzione della sua sentenza capitale. Alla cerimonia dell’esecuzione partecipavano non soltanto gli esponenti del tribunale dell’Inquisizione, ma anche il clero, l’aristocrazia, i notabili della città e il popolo.

I roghi venivano accesi in quella che oggi conosciamo come Piazza Marina, totalmente rifatta nel 1863, da Filippo Basile che progettò al suo interno Villa Garibaldi, con la  monumentale Ficus Macrophylla, dedicata all’eroe risorgimentale. Gli inquisiti del tribunale spagnolo furono più di 7000 persone tra perseguitati per giudaismo, apostasia, maomettanismo, magia e stregoneria, eretici, bigami, atti sacrileghi, sodomia e sollecitatio ad turpia. Molte le storie dei condannati ancora oggi ricordate, come la solenne esecuzione sul rogo di fra Romualdo e suor Geltrude nel 1724, eretici perché ”quietisti” in quanto professavano una spiritualità personale e negavano la funzione della chiesa. In “Morte dell’inquisitore” il grande Leonardo Sciascia racconta la tragica ribellione di fra Diego La Matina che uccise il suo inquisitore.

Il Tribunale ha fine nel 1782 quando Domenico Caracciolo, viceré appena arrivato a Palermo, reduce dal soggiorno a Parigi, durante il quale aveva fatto amicizia con i filosofi illuministi, si fa promotore dell’abolizione del tribunale. Il 16 marzo dello stesso anno proprio Ferdinando di Borbone emette il decreto che abolisce l’Inquisizione siciliana, mentre il 27 marzo Caracciolo provvede alla chiusura delle carceri, la distruzione di stemmi e insegne e l’eliminazione delle gabbie di ferro utilizzate per esporre le teste dei ribelli sulla facciata dello Steri. L’intera documentazione processuale verrà  bruciata un anno dopo, nel 1783, con una  cerimonia pubblica, si salveranno  solo le carte contabili, attualmente conservate presso l’Archivio di Stato di Palermo. Come annotava il marchese di Villabianca: “La distruzione di tali carte incontrar videsi il comune applauso, stante esser memorie che, Dio liberi, si fossero commerciate, era lo stesso che infettare e imbrunire di nere note molte e molte famiglie di Palermo e del Regno tutto ch’oggi sono del rango nobile e delle oneste e civili”.

Interessante sapere che a Madrid, presso l’Archivio Storico Nazionale è  conservata la documentazione esistente del tribunale siciliano nella sezione Inquisición Sicilia, dove si conserva la corrispondenza, le relaciones de causas e molti dei processi del tribunale siciliano.

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