Palcoscenico da leggere. La saga di Elvira e D’Annunzio / 4

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elvira

Elvira, vittima di un matrimonio non voluto, si trasferisce a Milano presso il marito, Conte Ercole Leoni. L’unione si rivela infelicissima tanto da provocarle il disgusto. La sorprendente scoperta di essere affetta da blenorragia, malattia trasmessale dal marito, assiduo frequentatore di postriboli, ed una interruzione di gravidanza, proprio in seguito del morbo contratto, le forniscono l’occasione per tornare a Roma e separarsi da Ercole. Elvira resiste ostinatamente ai ripetuti tentativi del marito di ricongiungersi con lui, forte del supporto di Teresa, sua sorella maggiore, che raccoglie le sue confidenze e gli sfoghi. Ma a sostenere i suoi propositi compare anche Lavinia, una amica della adolescenza trasteverina casualmente incontrata durante una passeggiata, la quale, forte di un matrimonio d’alto rango, la lancia nel gran mondo romano alla caccia di spasimanti che si possano prendere cura di lei. Elvira accetta stordita da quell’ambiente, che ne valorizza le doti e ne solletica la vanità. Sono i preparativi per l’incontro con Gabriele D’Annunzio che proprio Lavinia, con ben altri intenti, provoca a bella posta.

D’Annunzio, reduce da brillanti studi liceali presso un prestigioso Istituto di Prato, era giunto a Roma per iscriversi alla facoltà di Lettere, ma colto dal bisogno materiale, che gli sarà compagno tutta la vita, aveva iniziato la carriera di giornalista, pur non disdegnando di curare il suo primo amore, che era la poesia. Le famiglie nobiliari romane facevano a gara per garantirsi la presenza, nei salotti dei loro palazzi, di emergenti artisti come segno di qualità e distinzione. Palazzo Altemps con la nuova padrona di casa, Donna Natalia, raccoglieva i migliori di Roma ed era molto prestigioso esservi accolti. In più Donna Natalia, trascurata da un marito che preferiva curare gli interessi fondiari, era disponibile con tutti e, pare, non insensibile al fascino maschile. Era l’ambiente ideale per il futuro Vate, che voleva farsi largo nelle Lettere, con ogni mezzo. Fatto sì è che Donna Natalia avesse una figlia, Maria, giudicata a ragione il miglior partito della Capitale per possibili nozze blasonate. Così l’interesse di Gabriele immediatamente si trasferì dalla madre alla figlia, che povera di alcuna protezione caratteriale, se ne invaghì perdutamente. Il padre, provetto scalatore sociale, vide immediatamente male la presenza di tale possibile genero, ricco di cultura, ma non titolato, che peraltro ricalcava le sue stesse orme, e si adoperò con ogni mezzo perché i due giovani di distaccassero. Ma Gabriele, capita la situazione, trovò un valido stratagemma per raggiungere il suo scopo: una fuga d’amore preparata nottetempo per mettere l’astioso Duca padre, di fronte all’evidenza ineluttabile. Bastarono meno di 24 ore, una corsa fino a Firenze ed una sapiente pubblicità dell’accaduto, per vincere ogni contrasto. L’onore della duchessina Maria era stato macchiato ed andava riparato col vincolo nunziale.  Vuoi per la determinazione della ragazza, vuoi per la celata accondiscendenza della madre, Gabriele e Maria convolarono a nozze il 28 luglio 1883, con lei, appena diciannovenne, che era già incinta e non della notte di Firenze. Il Duca padre non la prese bene e rifiutò ogni contatto con il genero, ma anche con la amata figlia, protetta, da quel momento in poi, solo dalla madre. Il 13 gennaio 1884 nacque Mario, cui seguì due anni dopo, la nascita di Gabriellino. Il padre era completamente immerso nella mondanità e nella oziosa vita di società che ben descriverà nel PIACERE, anche con incontri femminili di rilevo, come quello della giornalista Olga Ossani, quando Maria rimase incinta per la terza volta, con una gravidanza che, come vedremo in questo racconto, susciterà polemiche e discussioni.

E’ in questa situazione che Gabriele si presenta il 2 aprile 1887 al Circolo Artistico di via Margutta in Roma, per assistere ad un concerto di musica.

Buona lettura.

ELVIRA

…paralipomeni di un amore noto

 Buio. Poi luce. I coniugi Leoni spariscono per far posto alle due amiche ritrovate. Il salotto ipotetico è  ancora quello di casa Fraternali a Roma. Compare una foto di Roma alla fine dell’Ottocento e poi una scritta.

Roma fine Marzo 1887

Casa Fraternali

LAVINIA: Allora, come stai oggi?

ELVIRA: Meglio, grazie.

LAVINIA: Eravamo tutti in grande apprensione, Elvira. I nostri amici mi chiedevano in continuazione che fine avessi fatto. Non la finivano più di pretendere notizie sulla tua salute.

ELVIRA: Davvero?

LAVINIA: Io ho esagerato, è vero, ma si era creata una tale aspettativa che mi è sembrato giusto tenerli un po’ sulla corda.

ELVIRA: ( angosciata ) Il medico mi ha visitata e le cose purtroppo non vanno bene. Dovrò sottopormi ad un intervento chirurgico ed è probabilmente esclusa un’altra gravidanza.

LAVINIA: Questo ce lo teniamo per noi. Non è il caso di divulgarlo.

ELVIRA: Io penso che sia terribile…

LAVINIA: Dipende.

ELVIRA: Da cosa?

LAVINIA: Tu hai fatto una guerra per arrivare fin a qui. E hai pagato pure un prezzo salato. Vuoi sapere come la penso io?

ELVIRA: Lo immagino.

LAVINIA: Un marito è sempre un ostacolo alle ambizioni di una donna. Anche quando è giusto. Figurati quando è sbagliato…

ELVIRA: Sì, lo so. Me lo ripeti in continuazione.

LAVINIA: Appunto. Ma lo sono di più i figli. Ti guardano. Ti giudicano. Ti rovesciano addosso tonnellate di sensi di colpa, perché le aspirazioni femminili non coincidono mai con quelle materne. Che vuoi passare la tua vita a scodellare marmocchi per qualche altro cretino, o, peggio, per quell’imbecille di tuo marito?

ELVIRA: Lavinia tu sei sempre così tranchant

LAVINIA: Sono tranchant perché ho ragione. Tutta questa resurrezione non va sprecata. Là fuori c’è una folla di gente che sbava per un tuo invito. Per sfiorarti solamente la mano. Che torna a casa contenta solo perché le hai sorriso. E a questi, che gli diciamo? Che sei addolorata perché non puoi avere più figli? Che aspiri ad una banale vita coniugale, fatta di bugie e di stupide convenzioni?

ELVIRA: Ma Lavinia, non potrò mica continuare a passare la vita tra balli e feste, no?

LAVINIA: Tu devi capitalizzare la bellezza e le qualità che possiedi. Almeno fino a quando non ti abbandoneranno per l’età.

ELVIRA: ( ironicamente ) Una bella prospettiva…

LAVINIA: La migliore che ti potesse capitare da quando sei tornata a Roma. ( pausa) Ercole?

ELVIRA: Ogni tanto si presenta e mi tocca fronteggiare i suoi attacchi.

LAVINIA: E’ indispensabile resistere, Elvira. Ti potrebbe prendere in un momento di debolezza. In un momento in cui la pressione dei tuoi è più forte. In cui alla fine è meglio dire di sì, piuttosto che continuare a battersi contro un mostro invincibile…E sarebbe la fine.

ELVIRA: Sii tranquilla. Ercole e il suo mondo sono ormai lontani anni luce, dal mio, Lavinia. Io sono certa di poter resistere. A Milano non ci torno neanche morta.

LAVINIA: E’ quello che volevo sentirti dire. Sabato prossimo c’è un concerto al Circolo Artistico. Non puoi mancare. Ci saranno tutti i tuoi ammiratori. E la musica che ti piace. Vai e stupiscili tutti.

ELVIRA: Tu non ci sarai?

LAVINIA: No, purtroppo. Abbiamo una noiosissima cena di cui non sono riuscita a liberarmi. Qualche laccio ce l’ho anch’io.

ELVIRA: Va bene. Allora non vado nemmeno io.

LAVINIA: Ma che scherziamo? Tu non puoi mancare. Ah, che darei per esser lì e godermi lo spettacolo, per vedere quei cicisbei che ti fanno la corte…

ELVIRA: Ma senza di te non saprei che fare.

LAVINIA: Sai che faccio? Disdico la cena e vengo con te

ELVIRA: Ma… Lavinia, non puoi. Farai fare una pessima figura a tuo marito.

LAVINIA: E’ un appuntamento troppo importante.

ELVIRA: Sarà un concerto come tanti altri.

LAVINIA: No. Ho saputo che vi parteciperà anche Gabriele D’Annunzio.

ELVIRA: Il poeta?

LAVINIA: Sì. Ed anche l’autore di certe cronache romane. Compare sempre sul giornale.

ELVIRA: Ho letto da poco il suo Intermezzo di Rime e l’ho trovato bellissimo. Mi piacerebbe fargli tante domande.

LAVINIA: E gliele farai al concerto.

ELVIRA: Come sono contenta! Ma sarò all’altezza?

LAVINIA: Tutta questa fatica per farti avere consapevolezza delle tue doti e poi ti butti giù davanti al primo giornalista che incontri? Ricorda, Elvira, tu non hai bisogno di nessuno, tranne che di te stessa.

ELVIRA: Un concerto. Ma dove?

LAVINIA: Al Circolo Artistico di via Margutta.

ELVIRA: Quando hai detto?

LAVINIA: Sabato prossimo. 2 aprile.

Buio. Poi luce. Le due amiche spariscono per far posto alle sorelle Fraternali. Il salotto ipotetico stavolta è quello del solito albergo di Rimini. Compare una foto di Rimini alla fine dell’Ottocento e poi una scritta.

Rimini. Fine agosto 1887

Albergo turistico

ELVIRA: Teresa mia, tu non puoi nemmeno immaginare che razza di terremoto. Al Circolo Artistico c’era lui, mandato dal giornale a fare un articolo.

TERESA: Ho letto anch’io qualcosa a Torino di questo D’Annunzio. Mi pare un poco lezioso… Com’è di persona?

ELVIRA: Basso, piccolo. Faccio una strana figura accanto a lui. Sono più alta. A Trastevere si direbbe Er Secchio e l’Olivaro.

TERESA: Oddio! Però questo non depone bene.

ELVIRA: Ma quanta grazia, Teresa. Quanta delicatezza… Un parlare lento, forbito e due occhi che ti fissano fino a penetrarti dentro. E’ stato tutto il tempo a guardarmi. Del concerto non avrà capito nulla. E nemmeno io…

TERESA: Si è presentato subito?

ELVIRA: Lui dice che mi aveva già visto. Mentre passeggiavo per via del Babbuino.

TERESA: E tu non te lo ricordi?

ELVIRA: Onestamente, no.

TERESA: Eri troppo presa a fronteggiare tutti gli ammiratori che Lavinia ti aveva messo addosso.

ELVIRA: Capirai. Già prima del concerto, s’era formato un capannello dei soliti mosconi che chiedevano notizie di me, della mia assenza. Lavinia vedendo arrivare Gabriele l’ha subito salutato. Lui ha fatto un cenno impercettibile: Donna Lavinia Taverna, presentatemi la signora che vi è accanto e che non conosco.

TERESA: Così, diretto?

ELVIRA: Sì. Era il colpo che Lavinia attendeva da tempo: Vi presento la Contessa Elvira Leoni. Si è fatto subito un silenzio assoluto.

TERESA: E gli altri? Si saranno piccati di tanto interesse.

ELVIRA: All’improvviso era come se non ci fosse più nessuno, Teresa mia. Sentivo a malapena il mormorio delle loro voci. Erano spariti tutti dalla mia vista e dai miei sensi. Gli occhi e le orecchie erano solo calamitate da quest’uomo, da cui mi sentivo già posseduta.

TERESA: Tutto in due ore di concerto?

ELVIRA: Mai nella mia vita ho desiderato che un concerto finisse presto e che l’impegno della musica lasciasse il posto alle nostre conversazioni…a quel rubarsi gli occhi a vicenda.

TERESA: E Lavinia, che faceva?

ELVIRA: Mi ha portato via.

TERESA: Oh, Gesù! Immagino il tuo scorno…

ELVIRA: Faceva parte della sua strategia. Aveva colpito il bersaglio più importante. Era fiera del risultato. Ora voleva aspettare che si facesse avanti lui.

TERESA: Certo, una condotta degna del miglior stratega. E non aveva sbagliato nulla.

ELVIRA: Il giorno dopo mi è stato recapitato un gran mazzo di rose con un biglietto.

TERESA: L’invito a visitare il Museo di Villa Borghese.

ELVIRA: Lunedì 4 aprile. Come dimenticare questa data? Giravamo per le sale e tra le statue, ma io non avevo occhi che per lui. Aveva la frenesia di stupirmi con la sua erudizione e non sapeva di avermi già completamente catturato.

TERESA: Ma tu sapevi che era sposato e che aveva dei figli?

ELVIRA: Certo. Due ed un terzo in arrivo.

TERESA: Poveretta, la moglie. Non c’è da invidiarla.

ELVIRA: Gabriele mi disse subito che quel matrimonio e le paternità l’avevano reso infelice, costringendolo a vivere una vita che non voleva.

TERESA: Non voleva? Ha sposato una duchessa. Grande nobiltà. E contro la volontà dei genitori di lei. Un arrampicatore sociale, Elvira. Di questo avrebbe dovuto metterti in guardia, Lavinia.

ELVIRA: Lavinia mi aveva fatto un resoconto spietato della sua condizione. Scarsa sensibilità familiare verso la moglie ed i figli; un discreto curriculum da dongiovanni sempre in cerca di sottane. Un non edificante esempio di moralità.

TERESA: Eh, ma anche tu eri sposata…

ELVIRA: Ogni tanto mi veniva in mente la sconvenienza di aver accettato quell’invito, ma mi si cancellava subito. Mi ricordo una reciproca attrazione impossibile a trattenersi e un bisogno quasi doloroso di toccarci. All’improvviso mi ha stretto; mi ha baciata molto voluttuosamente e mi si è cancellato tutto dalla mente. Ogni timore. Ogni riserva. Ho solo pensato che alla fine un po’ di felicità me la meritassi anch’io dopo tanto dolore.

TERESA: Una cosa lontana anni luce da Ercole…

ELVIRA: Che distanza, Teresa mia! Chi credeva mai che fossi capace ad amare e con quella intensità febbrile poi…A darmi tutta, senza trattenermi; a farmi compagna di giochi licenziosi senza vergogna e senza arrossire, ad assecondare qualsiasi desiderio di lui che non smetteva mai di volermi.

TERESA: Ma il tuo male? I tuoi problemi di salute, non influivano sui vostri rapporti?

ELVIRA: Ogni tanto stavo male ed avevo bisogno di qualche giorno di riposo, ma ero troppo felice di questa passione travolgente. Ed avevo bisogno anch’io di averlo tutto per me

TERESA: Ma mamma e papà?

ELVIRA: Oddio… una serie infinita di bugie e scuse per uscire, per stare con lui anche un’ora. Gabriele era impazzito! Se non mi vedeva, anche per un giorno, era capace di restare nella carrozza davanti casa tutta la notte.

TERESA: Ma la moglie? Anche lui aveva una casa a cui rendere conto, no?

(…continua)

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