Abbiamo visto tutto il difficile percorso affrontato da Elvira che non ha ancora incontrato D’Annunzio, l’uomo che le sconvolgerà l’esistenza. Intanto, tra forza e disperazione, trova il coraggio di abbandonare Milano e suo marito, per ritornare a Roma dai genitori che pur con le dovute riserve le riaprono la porta di casa. E’ un gesto estremo che trova giustificazione nell’ineluttabilità di una insofferenza non celabile. Sa che non saranno rose e fiori e che, soprattutto, madre e padre faranno ogni sforzo per rimandarla indietro dal marito odiato. Non fa nulla. Intanto almeno un periodo di tregua lo ha guadagnato e non è poco. Si scherma di fronte al suo male ed alle cure che le impongono uno stato di debilitazione evidente, di fronte al quale tutti si arrendono e ne accettano le conseguenze. In verità avrebbe bisogno di distrarsi, di frequentare un ambiente che la valorizzasse e le regalasse gioia di vivere attraverso la speranza di un futuro luminoso. Legge in continuazione, avida di immergersi in dimensioni fantasiose, come una requie in contrasto col presente inquietante. Talvolta esce a passeggio per le vie del centro, per curarsi il pallore e lo stordimento e in una di queste passeggiate incontra una vecchia amica. La comune provenienza popolare ora stride con l’inserimento sociale di alto valore in cui l’amica si è collocata dopo un matrimonio di alto rango. Sarà costei, Lavinia, ad introdurla nel bel mondo romano, in un turbine di feste e di incontri. Elvira ne è stordita. La vita sacrificata, prima come figlia oppressa poi come moglie negletta, è ormai un tragico ricordo; perché se è vero il dolore sale gradino per gradino e finisce per essere tollerato nella rassegnazione, il bene si assapora velocemente tanto da non poterne far più a meno. Così lei capisce, se mai fosse stata in un minimo dubbio, che un futuro col marito pur sotto la convenienza di un avvenire certo, non sarà più possibile. Ma deve tenerne conto, però. Il non rassegnato Ercole si presenta ad ondate a Roma e chiede ripetutamente che la moglie ritorni con lui. Non riuscendo a convincerla con la sconvenienza di una separazione difficilmente tollerabile alla fine dell’800, con l’impossibilità, da separata, di rifarsi una famiglia e con il dispiacere che così facendo avrebbe dato ai genitori, il Conte tenta la carta del bisogno materiale affamandola. Una cosa piuttosto comune anche ai giorni nostri. Le lesina un sostentamento, lasciandola senza risorse economiche, favorendo così l’avversione dei genitori che devono provvedere in sua vece, dopo aver consegnato al marito la dote matrimoniale promessa. Elvira è furiosa. Trova ingiusto che Ercole la lascia a Roma senza un soldo, sulle spalle dei genitori ed alla mercè della generosità della sorella Teresa che da Torino le manda quel che può, la accoglie spesso in casa e la ospita durante viaggi e vacanze. Ma Ercole le oppone l’offesa di essere stato abbandonato e reclama i suoi diritti di marito e di uomo, incurante di una situazione in cui tutto è ormai contro di lui. Dal fronte opposto Lavinia, che ha perfettamente compreso lo stato delle cose, briga e manovra per arginare ogni pericolo di un ritorno familiare e, peggio, di un’altra gravidanza: Le pone davanti un modello sociale discutibile per l’educazione ricevuta, ma perfettamente consono alla classe sociale in cui sta entrando, non dalla porta di servizio. Come si fa a rifiutare? Il rutilante mondo della Capitale, quello dei salotti buoni, per intenderci, è fatto di riconoscimenti, di incontri altolocati, di classe e di occasioni da non sprecare. Lavinia glieli mostra tutti, fornendogli una ineluttabile alternativa alla via di ritorno per Milano. Ed è un confronto senza storia. Elvira ci si butta a capofitto travolta dal consenso. Ha ventiquattro anni è bella, colta, invidiata, suona e canta divinamente. Di contro ha che è sposata, separata, con una gravidanza non portata a termine. Tutte cose che si possono tranquillamente tollerare nella dimensione effimera dei salotti delle grandi famiglie, dove spesso la morale cede il passo alle emozioni. Basta solo che la farfalla svolazzi di fiore in fiore, senza fermarsi su uno in particolare. Ma Elvira questo comando non lo rispetterà.
Buona lettura.
ELVIRA
…paralipomeni di un amore noto
Buio. Poi luce. Le sorelle Fraternali spariscono per far posto a due amiche ritrovate. Il salotto ipotetico stavolta è quello di casa Fraternali a Roma. Compare una foto di Roma alla fine dell’Ottocento e poi una scritta.
Roma 1886
Casa Fraternali
LAVINIA: Ma che fortuna esserci incontrate! E pensare che è stato per caso…
ELVIRA: La città, alla fine è piccola…
LAVINIA: La mia amica Elvira Natalia Fraternali… Ti ricordi da piccole? Stavamo sempre insieme. Tu avevi una passione per il canto. L’hai poi coltivata?
ELVIRA: Ho preso lezioni al Conservatorio di Milano per un po’ di tempo, grazie all’aiuto generoso di mio cognato, ma poi ho smesso. Roma mi mancava troppo e sono tornata.
LAVINIA: Ti mancava Roma, o qualcun altro?
ELVIRA: C’era un fidanzato che mi aveva rubato il cuore…
LAVINIA: E’ questo disgraziato, che ti ha strappato da una carriera brillante di concertista?
ELVIRA: …esagerata…
LAVINIA: Niente affatto! Io ero certa, anzi certissima, che ti saresti fatta strada nella Musica. Peccato. ( pausa ) Dico, e questo campione te lo sei poi sposato?
ELVIRA: ( imbarazzata, perché il ricordo brucia ancora) No. I miei non hanno voluto…
LAVINIA: Ah… mi avevano detto che ti eri sposata. Immaginavo che…
ELVIRA: Sì, mi sono sposata…Due anni fa…. Con un altro. Ma dimmi di te, Lavinia. Io non so niente.
LAVINIA: Mi sono sposata anche io.
ELVIRA: Ah! E con chi?
LAVINIA: Ora sono Donna Lavinia Taverna. Mio marito è un importante funzionario ministeriale. Una persona molto altolocata. Mi fa frequentare i migliori salotti di Roma. Tutta bella gente. Elegante, di gran classe…
ELVIRA: Oddio, quanto me piacerebbe partecipa’…
LAVINIA: Elvira, la peste di Trastevere… Sei sempre la stessa. Non c’è problema, mia cara. Organizziamo già dalla prossima settimana…
ELVIRA: Magari. E’ che qui sto dai miei e non credo che mi lascerebbero andare.
LAVINIA: Naturalmente vieni con tuo marito. Così avrò il piacere di conoscerlo.
ELVIRA: Lui è a Milano.
LAVINIA: E chi è? Che fa?
ELVIRA: Il Conte Ercole Leoni, funzionario delle Regie Dogane.
LAVINIA: Allora sei la Contessa Leoni! Chissà che bella figura faremo e tutti i giovanotti ti mangeranno con gli occhi. Oh, spero che il signor Conte non sia geloso…
ELVIRA: Siamo… come dire … separati, Lavinia. Lui resta a Milano e io sono tornata a Roma.
LAVINIA: Ah…Per sempre?
ELVIRA: Io credo di sì. Vedremo.
LAVINIA: Mi dispiace. Come mai, se posso sapere..?
ELVIRA: ( mestamente) Una cosa ripugnante. Non mi chiedere altro. Tanto squallore. Aspettavo un bambino, ma non ho portato avanti la gravidanza. Ho avuto un aborto spontaneo. Abbiamo deciso di vivere separatamente. Tanto non andavamo d’accordo.
LAVINIA: Vabbè, dai, non ci scoraggiamo! Che è quella faccia? Basta adesso! Sei giovane, bella. La vita te la devi godere. Mica finisce qui. Adesso ci pensa la tua amica Lavinia. Ci lanceremo nel gran mondo della Capitale; faremo perdere la testa a tutti i giovanotti e li fulmineremo.
ELVIRA: ( replicando con amara delusione) Eggià. Tutti furminati a vede’ sto cartoccio de donna, scarto de ‘no squallido! Faranno a gara…
LAVINIA: Eh, no, Elvira. Adesso sei contessa. Ti devi esprimere in italiano corretto.
ELVIRA: Vengo dal popolo e non me lo sono dimenticato.
LAVINIA: Scordatelo, invece. Non siamo più a Trastevere e non siamo più “ciumachelle” popolane. Siamo signore di alto rango e dobbiamo mantenere un contegno sociale elevato. L’uso del romanesco non è per niente gradito nei salotti buoni. Sa di volgare, di persone qualunque che non destano alcun interesse. Invece noi, Elvira cara, dobbiamo stupire. Dobbiamo puntare a trovarci un bel partito…
ELVIRA: Ma tu che dici? Io non ho nessuna voglia di un altro bell’imbusto. O peggio, un altro spregevole. Mi basta Ercole.
LAVINIA: Ma mia cara, scusa se te lo domando, tu ora come ti mantieni? Chi pensa a te?
ELVIRA: Qualcosa mi passa Ercole. Poca cosa. E me lo fa pesare, Lavinia. Oh, se me lo fa pesare…
LAVINIA: Immagino…
ELVIRA: Mi tiene costantemente sotto minaccia che se non torno con lui mi taglia ogni sussidio.
LAVINIA: Ah, perché lui vorrebbe…Ti ricatta?
ELVIRA: Precisamente. Meno male che un po’ di aiuto mi viene dai miei e da mia sorella quando può…
LAVINIA: Teresa, si chiamava. E’ vero?
ELVIRA: Sì. Ora vive a Torino ed è sposata con un agente di borsa
LAVINIA: Bisogna provvedere. Così non va. Alla vecchiaia ci devi pensare adesso, che sei giovane e che ne hai le possibilità. Dopo sarebbe troppo tardi.
ELVIRA: Troppo tardi, per cosa?
LAVINIA: Per trovarti un amante, cara! Uno che ti mantenga, che ti assicuri una posizione sociale adeguata. Arrivare ai salotti buoni non è difficile, a determinate condizioni, ovvio. Il vero problema è mantenerseli.
ELVIRA: Io non credo di esserci portata…
LAVINIA: Si impara facile ed io sono qui per darti lezioni. Ma per farlo ci vuole un solido supporto economico. I vestiti, le spese, i viaggi, costano…
ELVIRA: …anche i gioielli…
LAVINIA: …No. Quelli te li fai regalare…
ELVIRA: …E li regalano a me?
LAVINIA: Sarà il prezzo della tua compagnia, mia cara. E’ questo quello che conta nelle feste, nei circoli e nei ritrovi. Tu hai tutte le caratteristiche per farlo: sei bella, sai di musica e sai cantare. Hai fascino e puoi intrattenere una moltitudine di ammiratori, tra i quali scegliere quello giusto. O quelli giusti.
ELVIRA: A Trastevere una così se chiama mignotta, Lavi’…
LAVINIA: Nella Roma-bene, invece, è una donna di gran classe. Rispettata, ossequiata e invidiata. E’ una scelta, Elvira. Sennò te ne torni a Milano a fare la moglie di uno che non vuoi…
ELVIRA: ( inorridita all’idea) Per carità…
LAVINIA: Ecco, appunto. Cominciamo subito. La prossima settimana c’è una festa in un palazzo a via del Corso. Mi pare un’ottima occasione per fare il tuo ingresso in società.
ELVIRA: Un palazzo, di chi?
LAVINIA: Non te ne deve importare. Ti confonderesti. Vieni con me e mio marito. Ti presento come la Contessa Leoni, mia cara amica di collegio…
ELVIRA: Ma non ci siamo mai state in collegio…
LAVINIA: Però fa molto chic! Che non siamo state in collegio lo sai tu e lo so io. Nessuno andrà a controllare i registri. Mica vorrai raccontare che siamo cresciute a Trastevere, no?
ELVIRA: E se mi chiedono dettagli?
LAVINIA: Resta sul vago. Funziona sempre. Non rivelare il passato fa mistero e scatena la curiosità. Dammi retta. Ce l’hai un vestito adatto?
ELVIRA: Qualcosa mi sono portata da Milano.
LAVINIA: Fammi vedere.
Buio. Poi luce. Lavinia ed Elvira spariscono per far posto alle sorelle Fraternali. Il salotto ipotetico stavolta è quello del solito albergo. Compare una foto di Rimini alla fine dell’Ottocento e poi una scritta.
Rimini. Fine agosto 1887
Albergo turistico
ELVIRA: E’ stato un anno fantastico, Teresa. Feste, ricevimenti. Sempre complimenti galanti. Una gara per distribuire gli inviti a ballare. Ero l’oggetto e l’attenzione di tutti i giovanotti disponibili e …anche di quelli accompagnati.
TERESA: Da perderci la testa.
ELVIRA: E chi c’era abituata? E’ stato come passare dall’inferno alle stelle. Lavinia mi guidava con maestria e non mancavo mai a nessun ballo. Ero sempre attesa ad ogni concerto e convegno musicale, perché mi si attribuiva grande competenza artistica. Mi sentivo importante…
TERESA: ( con compiacenza ) …la contessa Leoni…C’era da inorgoglirsi. Però mamma e papà erano preoccupati. Mi scrivevano che t’eri montata la testa, che non ragionavi più.
ELVIRA: Mamma diceva che se mi fossi abituata a tanta libertà, poi non sarei più tornata con Ercole. Ma chi ci voleva tornare? Solo al pensiero mi prendeva un colpo.
TERESA: E non c’è stato mai nessuno che ti abbia fatto perdere la testa?
ELVIRA: Vuoi sapere la verità? Non avevo nessuna intenzione di perdere la testa.
TERESA: Davvero?
ELVIRA: E Lavinia me lo aveva proibito. Diceva che se mi fossi impegnata con uno dei miei spasimanti, avrei dovuto rinunciare agli altri ed a quel mondo. Aveva ragione. Meglio lasciare ognuno nell’illusione di essere il preferito, così la pressione non cessava mai.
TERESA: Qualcosa che a Trastevere, nessuno avrebbe immaginato.
ELVIRA: Non mi importava, Teresa. Ero troppo in debito col dolore e la sofferenza degli ultimi tre anni, per provare sensi di colpa. E quella felicità che mi spettava, me l’ero conquistata con le unghie e coi denti.
TERESA: Ed Ercole?
ELVIRA: ( con dolore ) Ercole restava un problema. Ogni tanto si ripresentava ed era una battaglia.
TERESA: Mamma mi ha scritto che spesso le facevi dire che eri malata e non potevi riceverlo.
ELVIRA: Qualche volta era vero. L’infezione non era passata e i disturbi si ripresentavano, ma io ci giocavo un po’. Mi sembrava di guadagnare del tempo anche con lui, rimandando decisioni che non avevo nessuna intenzione di prendere.
TERESA: Eppure eri stata chiarissima a Milano. Quello che volevi fare lo avevi detto. E lui lo sapeva.
ELVIRA: Però non mollava. Ad ondate tornava a Roma per reclamare i suoi diritti.
Buio. Poi luce. Le sorelle Fraternali spariscono, per far posto ai coniugi Leoni. Il salotto ipotetico stavolta è quello di casa Fraternali a Roma. Compare una foto di Roma alla fine dell’Ottocento e poi una scritta.
Roma 1887
Casa Fraternali
ERCOLE: Mi sembra che le cose stiano migliorando, Elvira. Quando pensi di tornare?
ELVIRA: Ci vuole il coraggio tuo, Ercole. Ma non lo vedi come sto messa?
ERCOLE: Tua madre dice che stai meglio e spesso esci.
ELVIRA: Esco, perché stare a casa mi è insopportabile. Oltre che col male, devo combattere anche contro l’oppressione di mia madre.
ERCOLE: Lo vedi che devi tornare a Milano?
ELVIRA: Ercole, non è cambiato niente. Tutti i motivi per cui me ne sono andata, restano intatti.
ERCOLE: Io ho le mie esigenze personali.
ELVIRA: Anche io. Mi devo curare.
ERCOLE: Lo puoi fare anche a Milano.
ELVIRA: Ti stai curando, tu? Sei andato dal medico?
ERCOLE: …no…
ELVIRA: Lo vedi? E’ inutile.
ERCOLE: Io ti prometto che se tu torni a Milano, farò le cure del caso e quando tutto sarà a posto ci riproviamo a fare un figlio.
ELVIRA: Vai dalle tue puttane, Ercole. Sfogati con loro.
ERCOLE: Ancora? Quanto me la devi far scontare? Io sono diverso, oggi. Sono un altro uomo.
ELVIRA: Ercole, tu sei manesco e violento. Io ho paura e nessuna voglia di stare con te.
ERCOLE: Paura tu, di me?
ELVIRA: Sì, Ercole. Perché gli schiaffoni fanno male e quando sei arrabbiato, sragioni.
ERCOLE: Io ti picchio perché tu non vuoi fare quello che ti dico.
ELVIRA: ( arrabbiata ) E te dovevi sposa’n cane, allora!
ERCOLE: Io non so proprio cosa devo fare con te, Elvira.
ELVIRA: Me devi lascia’ n pace.
ERCOLE: Ma almeno ci vuoi ripensare? Mi vuoi dare un’altra possibilità?
ELVIRA: ( assecondandolo, per timore di una reazione, in previsione di ciò che sta per chiedergli) Ora n’ è ‘r momento.
ERCOLE: Va bene, rimandiamo a quando ti sentirai meglio.
Pausa
ELVIRA: ( cambiando tono e divenendo imbarazzata ) Senti, Ercole…
ERCOLE: ( speranzoso ) Dimmi…
ELVIRA: Ho bisogno di un po’ di soldi.
ERCOLE: ( deluso ) Ah…
ELVIRA: Io qui sono sulle spalle dei miei genitori. Ho bisogno di tutto e non posso sempre chiedere a loro, che, oltretutto, non hanno più le possibilità di prima.
ERCOLE: Se tornassi a Milano, non avresti bisogno di nulla.
ELVIRA: ( arrabbiata ) Ecco che c’aritorni sopra! Lo vedi che n’ capisci?
ERCOLE: Dimmi che devo fare e io lo farò buono buono.
ELVIRA: Te la devi pianta’, Ercole! Se fai così peggiori solo ‘a situazzione.
ERCOLE: Più di così?
ELVIRA: Lascia sta’ noi, adesso. Io nun te sto chiedenno ‘a carità, ma ‘n diritto mio. Te sei preso ‘a dote da mi’ padre in cambio de ‘sto matrimonio da barzelletta?
ERCOLE: …Il matrimonio è da barzelletta, perché tu non vuoi collaborare.
ELVIRA: No! La verità è che te sei ‘no schifoso maiale che m’ha combinata così. Er medico ha detto che probabilmente nun potrò ave’ artri fiji, lo sai?
ERCOLE: Non è vero. Me lo dici apposta!
ELVIRA: Parla co’ mi madre…
ERCOLE: E certo, parlo con tua madre con cui ti sarai già messa d’accordo? Mi hai preso per un grullo?
ELVIRA: Ce parli de tutto, co’ mi madre. Te fai racconta’ quello che faccio. Come passo le giornate… Quanno te fa da spia, va bene e quanno te racconta der medico, dice bucie?
ERCOLE: Sempre tua madre, è.
ELVIRA: ( sconsolata ) Ercole, Lasciame ‘n po’ de sordi e aritornete a Milano.
ERCOLE: E io solo questo devo fare! Pagare e basta.
ELVIRA: ( alludendo alle prostitute) Ce sei abbituato.
(…continua)