No alla patrimoniale: poche tasse sul contante e titoli di Stato trentennali

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Foto di Tanja-Denise Schantz da Pixabay

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Una proposta di regolarizzazione del contante equa e fattibile, che si paga (anche) con il minor tasso di rendimento di titoli pubblici sottoscritti dagli interessati

Come è noto, l’attuale congiuntura nazionale è caratterizzata da una pesante e urgente richiesta di intervento economico e finanziario dello Stato a sostegno dei cittadini e delle imprese, condizionato anche dall’esito di complesse trattative con le istituzioni europee e reso più gravoso a causa dei numerosi provvedimenti che sospendono il pagamento delle imposte e del calo del gettito derivante dalla crisi in atto.

Tuttavia, in contrapposizione ai fattori di criticità che incidono sul fabbisogno finanziario pubblico, risultano permanere elevate masse di disponibilità di contanti non dichiarate alle autorità fiscali da parte di imprese e privati che, in base alle ultime stime circolate, sono state valutate intorno ai 50 miliardi di euro: disponibilità “ferme”, custodite per la maggior parte in cassette di sicurezza all’estero o in Italia.

Si ha qui riguardo soprattutto alle disponibilità di contanti rivenienti da redditi o eredità non dichiarati che, in base alle presunzioni della legge fiscale, in assenza di prova contraria, si considerano derivanti da redditi prodotti in anni ancora accertabili e, quindi, si tratta di somme che sono difficilmente accertabili, ma soggette a imposte e sanzioni qualora si riuscisse ad accertarle.

Per ovvi motivi etici, non sono qui presi in considerazione, ai fini di una possibile regolarizzazione, i contanti frutto di violazioni diverse da quelle fiscali, che restano pertanto esclusi dalla possibilità di emersione e regolarizzazione. 

Sono altresì estranee alla proposta di provvedimento di regolarizzazione le somme in contanti per le quali si possa dimostrare la provenienza da redditi regolarmente dichiarati o esenti da tassazione.

Più difficile appare, invece, la stima delle consistenze di lingotti d’oro, ma verosimilmente i relativi valori potrebbero essere superiori a quelli del contante.

Tali considerazioni ci inducono a valutare l’ipotesi di un nuovo provvedimento normativo di emersione delle disponibilità di denaro contante e di lingotti d’oro, riprendendo in parte il precedente testo normativo introdotto dal Decreto-legge n. 193/2016 (la cosiddetta Voluntary-bis del 2017), che non incontrò il favore dei soggetti interessati, per l’elevato costo di regolarizzazione.

Le difficoltà che incontra un provvedimento normativo sulla regolarizzazione del contante risiedono nella difficoltà di conciliare l’equità con la fattibilità.

Perché ci sia equità rispetto ai contribuenti virtuosi, è necessario che il provvedimento non preveda eccessivi trattamenti di favore per chi acceda allo stesso, mentre la fattibilità richiede che il costo della regolarizzazione non sia eccessivo.

Su queste basi, il precedente normativo della Voluntary-bis si caratterizzava per un buon grado di equità insieme ad una bassa fattibilità, in quanto presentava  un costo di emersione del contante che normalmente si aggirava intorno al 50 per cento ed era determinato dalla piena tassazione delle somme regolarizzate, con applicazione di sanzioni ridotte e interessi, in base ad una doppia presunzione legale che prevedeva: a) che tali somme si erano originate da redditi non dichiarati, b) che i redditi non dichiarati erano stati prodotti in cinque quote costanti, in altrettante annualità ancora accertabili.

L’annoso problema della regolarizzazione del contante, che per sua natura non è tracciabile, nasce dall’impossibilità, dal lato delle autorità fiscali, di dimostrare che tali disponibilità si siano formate in annualità ancora accertabili e, dal lato del loro detentore, di dimostrare il contrario: questa peculiarità, a fronte di un costo di regolarizzazione indifferenziato, causa necessariamente sperequazioni in talune determinate situazioni.

Infatti, per le disponibilità originate da eredità o redditi non dichiarati in anni molto remoti, per i quali è decaduto il potere di accertamento, un costo di emersione pari o superiore al 50 per cento è percepito dagli interessati come un costo eccessivo.

Lo scorso anno, erano state avanzate ipotesi di regolarizzazione del contante – non tradotte in provvedimenti normativi – che avvicinavano il relativo costo alle aspettative dei potenziali fruitori, utilizzando una diversa presunzione legale: in particolare, si ipotizzava che solo una metà della somma regolarizzata derivasse da redditi prodotti in anni ancora accertabili e fosse conseguentemente tassabile, lasciando esente la restante parte.

Tale diversa presunzione portava ad un dimezzamento del costo di emersione e, nel caso di persone fisiche, considerata la progressività dell’imposizione, tale costo poteva ridursi a meno della metà.

Tuttavia, lo “sconto” sul costo di regolarizzazione poneva problemi di equità nei confronti dei contribuenti virtuosi.

Partendo da queste premesse, la proposta di un nuovo provvedimento, al fine di superare le principali criticità evidenziate, potrebbe: a) confermare la presunzione legale della Voluntary-bis e, quindi, la tassabilità dell’intera somma regolarizzata; b) determinare la tassazione in misura pari alla precedente normativa, ma distinguendo due componenti: (i) una prima consistente nella tassazione sostitutiva del 15 per cento applicabile all’importo regolarizzato, accompagnata dall’obbligo di convertire la rimanente somma (85 per cento) nell’acquisto di appositi titoli del Tesoro di lunga durata (ad esempio: trentennale), il cui rendimento verrà compensato fino ad esaurimento con la restante somma (l’”Ulteriore Costo di Regolarizzazione”) dovuta a titolo di imposte, sanzioni ridotte e interessi, lasciando in alternativa la possibilità di pagare tale Ulteriore Costo di Regolarizzazione in tre quote annuali costanti.

In tal modo, si rispetterebbe l’equità del provvedimento: il costo è pari a quello previsto dalla precedente voluntary bis, ma si incoraggerebbe la fattibilità, dando la possibilità di pagare subito solo il 15%, mentre la restante somma (ascrivibile a imposte, sanzioni e interessi ed eventuale Iva) viene spalmata a compensazione dei rendimenti dei titoli pubblici sottoscritti. Di fatto, i titoli avrebbero un minor rendimento rispetto ai tassi di mercato.

Per i titolari di partita Iva, quindi, anche l’Iva sarebbe pagata ratealmente, a mezzo compensazione con le cedole nette maturate.

Come anticipato, sarebbe interessante considerare la possibilità di estendere la regolarizzazione all’oro detenuto in lingotti, il cui valore sarebbe convertito in titoli di Stato al fixing del giorno, previo deposito presso gli intermediari bancari, seguendo un apposito iter di verifica. Occorre considerare che i lingotti d’oro rivestono una maggiore tracciabilità rispetto alle pietre preziose, la cui regolarizzazione appare più problematica.

Per quanto detto, si ritiene che la nuova regolarizzazione ipotizzata non presenterebbe criticità legate all’equità nei confronti dei contribuenti virtuosi, avendo – come visto – un costo che si aggira intorno al 50 per cento dei valori regolarizzati, per i soggetti privati e di circa il 70 per cento, per i titolari di partita Iva.  

Con riferimento all’appeal del provvedimento nei confronti dei potenziali fruitori, c’è da considerare che i titolari del contante hanno già rinunciato a qualsiasi rendimento, a motivo della particolare forma in cui sono attualmente detenute tali disponibilità: questi soggetti, quindi, percepiscono poco la penalizzazione data dal ridotto tasso di rendimento dei titoli pubblici sottoscritti.

Di contro, va considerato il vantaggio di possedere titoli pubblici, consistente nel poterli offrire in garanzia alle banche per ottenere finanziamenti, compensando la lunga indisponibilità del capitale così investito. Il costo “percepito” da parte di chi accede alla norma di regolarizzazione è, quindi, del solo 15 per cento.

Inoltre, va considerato che, nella presente fase emergenziale, l’utilizzo del contante anche per piccoli importi risulta particolarmente sfavorito, perché comporta necessariamente un contatto fisico, superato ormai dai pagamenti telematici, tipici dell’e-commerce.

Indubbio, poi, il vantaggio per le casse dello Stato, che incasserebbe subito e a titolo definitivo il 15 per cento delle somme regolarizzate e riceverebbe l’ulteriore 85 per cento a debito, ad un tasso prossimo allo zero, per una lunga durata, potendo così migliorare e potenziare il proprio intervento a favore dei cittadini colpiti dall’emergenza della pandemia. Infine, con riferimento agli aspetti penali, vi è da considerare che il provvedimento sanerebbe sostanzialmente le sole violazioni di matrice fiscale, analogamente alla Voluntary-bis, restando esclusi eventuali altri reati diversi da quelli fiscali commessi dai titolari delle disponibilità occulte.

In conclusione, far emergere dall’illegalità consistenti ricchezze e convogliarle a beneficio della comunità e, soprattutto, delle categorie più deboli e più colpite dell’attuale emergenza sanitaria ed economica appare un’operazione meritevole: molto più dell’introduzione di imposte patrimoniali e di prelievi forzosi. Viceversa, continuare ad ignorare fenomeni macroscopici quali le disponibilità occulte – al pari del lavoro nero – e lasciarli nella sfera dell’illegalità può produrre altri fenomeni illegali, quali l’usura.

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