Morricone, non solo musica per il cinema, ma “misteriosa forma del tempo”

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Foto: Gonzalo Tello via Flickr

Kandiskij, pittore maestro dell’astrattismo, cercava di dipingere il linguaggio dei suoni, rappresentando la musica tramite il colore. Viceversa Ennio Morricone, nei silenzi, negli spartiti, incideva paesaggi, stati d’animo, atmosfere, sul pentagramma.

Morricone non può essere rinchiuso in quel “ghetto che è la musica per il cinema”, come giustamente sottolinea Quentin Tarantino. Parafrasando Nietzsche, era uno di quegli artisti per cui “non esiste alcuna differenza tra musica e lacrime”, tra emozione e nota, rendendo le colonne sonore opere degne della musica “assoluta”, che anticipando il film erano libere da esso.

Perché la sua musica non è solo lo sfondo, lo scenario del film in cui si è cimentato il Maestro. Ne diventa il protagonista, invade lo spettatore, spiega i personaggi. Inquietudini, turbamenti, nevrosi. È ricordo, come nell’ipnotico carillon dell’indio, paranoia ed alienazione, nella fabbrica della classe operaia va in paradiso. Nel cinema di Tornatore diventa la forma della nostalgia, nella cinepresa di Nuovo Cinema Paradiso, unta di celluloide e d’un passato perduto. Una musica, soprattutto, capace di evocare atmosfere, di fondersi col paesaggio, di far sentire il colore arido del selvaggio West dove duellano banditi e stranieri senza nome. Di ritrovare la Roma ferragostana in cui le maschere di Carlo Verdone fischiettano spensierate e malinconiche. Come avviene nel romanticismo di Friedrich con il paesaggio, che si trasforma da delicata scenografia in protagonista delle passioni dell’autore e dello spettatore.

Nella sua vasta produzione, che comprende oltre 500 colonne sonore, il Maestro Morricone ha collaborato con i grandi del cinema italiano ed internazionale. Dal sodalizio con Sergio Leone, amico e compagno di scuola, che egli scelse per le sue duplici trilogie, quella del dollaro e quella dell’America, in cui molti vedono i grandi capolavori del western all’italiana, mentre per lui erano capolavori e basta, rigettando ogni gradualità. La collaborazione con Elio Petri, di cui Morricone ricordava che, prima di lui “cambiava un musicista a film” e dopo il loro incontro scelse sempre lui. Scegliendolo per rappresentare le nevrosi della società di massa, il senso della colpa e l’abuso di potere in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, il teatrino tetro e grottesco dietro le menzogne del potere in Todo modo. Con Tornatore, che gli permise di far sognare una Sicilia antica ed incantata, sperimentare nuove tecniche in “la migliore offerta” di cui si dispiaceva “che alla gente non frega niente” in cui la colonna sonora quasi fa eclissare il film, con le sue polifonie ed i suoi virtuosismi. Morricone attraversò i più importanti generi cinematografici del suo tempo, da Pasolini al western, passando per il filone politico e il giallo. In quest’ultimo tramite le opere di Dario Argento, nella sinfonia di campanelli stregati de L’uccello dalle piume di cristallo o nelle ipnotiche sequenze in cui curiosità e terrore si mescolano.

In questo 2020 pieno di grandi lutti nel mondo della letteratura, della filosofia, e delle tante vittime del corona virus, la perdita di Ennio Morricone è una ulteriore tragedia. Se ne va un uomo mite, di una umiltà pacata, quasi timida. Un grande artista che riuscì a rendere fede a quel verso di Borges per cui la musica è “misteriosa forma del tempo”.

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