Dunque i fratelli Borsellino, al secolo Braciola e Bracioletta, entrano in azione come reclutati un questa scalcinata gang che deve agire nei confronti di Pier Paolo Pasolini. Ma per fare cosa? Non è ancora chiaro e le informazioni che vengono date sono piuttosto avare. E’ il naturale riserbo dei Servizi che mettono sostanzialmente nelle mani di quattro inadeguati, le sorti di un’operazione assai delicata. La loro discrezione è intuibile. Ma il furbo Biondino, ha compreso, in qualche modo, che sotto un’azione apparentemente scoordinata, c’è una regia tutt’altro che distratta. Il piano prevede ancora di coinvolgere un’ultima persona: Antonio Pinna. Tonino “ er meccanico” ha un’officina a Monteverde, il quartiere dove abitava Pasolini prima di trasferirsi all’Eur. Lo conosce bene. A Monteverde, avamposto periferico di un sottoproletariato radicato, lo scrittore è noto ed è un personaggio piuttosto chiacchierato. Pinna possiede un’Alfa Romeo GT simile a quella del regista, precisamente una Alfa 1750 simile al modello 2000 di Pasolini. A che servono due vetture quasi uguali? Certamente a confondere le acque. Oggettivamente un po’ troppo per un agguato che prevede solo di malmenare il nostro intellettuale, così come viene ipotizzato. Ci deve esser qualcosa di più. Negli anni 60-70 era piuttosto usuale organizzare dei raid punitivi per picchiare gli omosessuali maschi. Una sorta di sport; una caccia al diverso per il divertimento sadico di una sera in cui ci si annoia al bar. Nel quartiere tutti sanno che il nostro gira di notte in cerca del piacere proibito. Il suo terreno di caccia sono i ragazzini, ma non quelli imberbi, indifesi, violabili, bensì quelli duri, teppisti in erba, pronti a menare le mani ad ogni provocazione, ma soprattutto poveri, bisognosi di denaro e di un modo facile per guadagnarselo. Negli anni 60 esistevano luoghi conclamati per far soldi con sbrigative pratiche sessuali: i cinema di periferia; certe piazze che si affollavano di sera; prati ai limiti della città in attesa della espansione urbanistica, dove era possibile accettare scambi omossessuali in cambio di soldi; perlopiù frettolosi rapporti orali; in ogni caso attivi, giusto per sancire rigorosamente che l’incontro con altri uomini non metteva in pericolo una sfrontata eterosessualità. Gli effemminati davano fastidio e provocavano il disprezzo per il loro scimmiottare le movenze femminili e per la necessità di volerli sottomettere ed umiliarne la personalità. Pasolini, in vero, di femminile aveva ben poco, a parte una delicatezza dell’animo unita ad una predisposizione a comprendere e sviscerare le problematiche con arguzia e sagacia. Volto virile, intagliato in uno sguardo duro, modi sbrigativi ed una determinazione verace, frutto della necessità di combattere quotidianamente un ostracismo palese e violento. Non faceva mistero dei suoi gusti sessuali ed affrontava, mai intimorito, gli assalti dei cacciatori di froci non sottraendosi in nessuna occasione alle botte ed ai combattimenti aspri, pur di non soccombere alla violenza ed alla prevaricazione. Chi si avventura in quel mondo buio, notturno, popolato da derelitti senza più nulla o con ben poco da perdere, deve dotarsi di una solida scorta di protezione individuale e se non ce l’hai tela devi far venire. Quando la mattina del 2 novembre 1975 si divulgò la notizia del suo assassinio e delle circostanze in cui era avvenuto, tutti, ma proprio tutti, dissero che “se l’era andata a cercare”, liquidando sbrigativamente come prevedibile conseguenza, un vizio riprovevole consumato in un sordido ambiente. Escludendo, naturalmente qualsiasi altra ipotesi, non meno inquietante, che invece c’era, eccome, se solo la si avesse voluta cercare. Poi con il trascorrere di quasi mezzo secolo (!!) si è cominciato a far luce su un agguato organizzato e guidato scientemente per togliere di mezzo un raffinato censore dei mali pubblici ed impedirne la testimonianza. Capire le ragioni di questo omicidio significa non solo restituire alla memoria di Pasolini quella dignità che è stata beffardamente insudiciata, ma far luce su uno spicchio buio di Italia che ha rischiato di gettare alle ortiche ogni senso democratico faticosamente conquistato. Molti scritti di ottima intuizione hanno prodotto un fiorire di argomentazioni pregevoli su questa vicenda, ma la verità appare ancora lontana e la Giustizia, come espressione di diritto, non vi fa una bella figura.
QUELLA NOTTE ALL’IDROSCALO…
Atto unico
personaggi
UNO ufficiale superiore dei Servizi
DUE agente dei Servizi
BIONDINO, ragazzo malavitoso
PELOSINO, ragazzo di vita
BRACIOLA, ragazzo di vita
TONINO, meccanico
13 Settembre 1975
Roma. Officina meccanica alla Magliana
Sul fondo la foto dell’entrata di un’officina. Si riaccendono le luci. La musica cessa. A colloquio, DUE, di cui sopra e Tonino in tuta da meccanico, con uno straccio in mano che si pulisce nervosamente le mani.
DUE: Ciao. Ti posso chiamare Tonino?
TONINO: Chiamame come cazzo te pare. Sbrigamose, chè nun me vojo fa’ vede’ in giro.
DUE: Tonino, hai capito bene quello che devi fare?
TONINO: A Sor mae’, nun avemo ancora parlato de sordi…
DUE: Di quelli non ti devi preoccupare.
TONINO: Io ‘nvece me preoccupo.
DUE: Te li facciamo avere sul tuo conto.
TONINO: Quanno?
DUE: Il giorno dell’operazione.
TONINO: Come sete delicati, voi guardie. Operazione… Lo dovemo addobba’ …Me dovete convince’. Quello è n’amico mio da trent’anni…
DUE: Per noi è un’operazione.
TONINO: Sarà mejo che me squajio subito, appena amo fatto. Io nun vojio sapè un cazzo de quello che succede dopo. Chiaro?
DUE: Che ti importa? Il nome tuo non uscirà mai fuori.
TONINO: Qui in borgata le cose se sanno prima che succedeno. Pure i muri c’hanno l’orecchie. Sai quanto ce metteno a capi’ che ce sta ‘n mezzo Tonino? E poi qua, lui, ‘o conoscheno tutti. S’è ripassato ogni ragazzetto. ‘O sai come fa’? Ariva cor GT 2000; scenne, mette i foji da dieci sacchi sur cofano e dice: “ chi li vole?” E quelli ce se fionneno sopra.
DUE: Lo sappiamo. A proposito la macchina tua è pronta?
TONINO: Precisa. E’ ‘na spada. Me rode er culo dovella abbandona’. C’acchiappavo bene…
DUE: Coi soldi che ti diamo te ne puoi comprare un’altra.
TONINO: ‘N artro GT dumila? N’è ‘a stessa cosa. E poi voio aricomincia’ da capo. Vita nova. Maghina nova.
DUE: Lo vuoi un passaporto con un altro nome? Magari te ne vai via dall’Italia…
TONINO: Po esse’. Me piacerebbe anna’ ‘n Brasile: sole, mare e belle fregne. Come rimanemo?
DUE: Mi faccio vivo io. Ti chiamo il giorno prima
TONINO: Cioè, quanno?
DUE: Quando abbiamo organizzato tutto. Devi aspettare una Fiat 125, nera, targata Catania al Ponte della Scafa.
TONINO: E poi?
DUE: Ti seguirà.
TONINO: E basta?
DUE: Ti dico tutto quando fissiamo il giorno. Adesso sarebbe inutile.
TONINO: E i sordi?
DUE: Ce li hai il giorno dopo sul conto. Non mi far ripetere le stesse cose.
TONINO: Famo a fidasse?
DUE: Ci dobbiamo fidare tutti e due. Questa è una cosa grossa. E delicata. Bisogna stare zitti con chiunque. Nessuno, dico nessuno, deve saper di questo contatto. Non ci siamo mai conosciuti. Se collabori, ti aiutiamo e ti facciamo una vita nuova. Niente più debiti, impicci e casini per andare avanti. Se fai lo stronzo ti facciamo passare la voglia di essere venuto al mondo.
TONINO: Senti, ‘a moro, io n’ c’ho ‘n cazzo da perde’. Si nun trovo i sordi er giorno dopo, ve sputtano co’ tutti e poi so’ cazzi vostri.
DUE: Lo vedi allora che dobbiamo rispettare i patti? Tutto andrà nel verso giusto. Ciao.
E se ne va. Buio. Musica. Sullo schermo appare una scritta
14 settembre 1975
Retro di un bar nei pressi di Setteville di Guidonia
La musica smette. Le luci si riaccendono. Luci soffuse. Sullo sfondo l’immagine di un bar a Guidonia. Sempre un tavolino e due sedie. Biondino e Pelosino.
BIONDINO: Ma io che t’avo detto?
PELOSINO: Braciola, me rompe sempre er cazzo che c’ha bisogno de sordi…
BIONDINO: Nun me piaciono i tossici. E’ uno che chiacchiera e racconta tutto in giro. Sta cosa è delicata. Io non c’ho capito gnente, ma c’è sotto quarcosa de grosso. Te pare che ce chiedono solo de fa ‘no scambio de sordi cor firme? Quelli c’hanno ‘n mente artro. Ogni vorta che ‘nformo, me risponneno sempre: “ cazzi nostra”….
PELOSINO: So’ guardie…
BIONDINO: Nun esse’ stronzo, Pelosi’. Raggiona. ‘Sta cosa nun è quello che sembra. Bisogna fasse i cazzi nostri e tu vai a di’ tutto a Braciola? Come minimo lo dice ar fratello. E già semo in quattro. Se ‘o mettemo sur giornale, famo prima.
PELOSINO: E’ che lui, er frocio, lo conosce bene. C’è annato un zacco de vorte. Ce fa comodo.
BIONDINO: Ma de che? Ammazzete che sercio che sei… Che j’hai detto?
PELOSINO: …e che j’ho detto… dello scambio.
BIONDINO: Pure dei sordi?
PELOSINO: Sì.
BIONDINO: Tacci tua… Mo n’ s’o levamo più dar cazzo…
PELOSINO: Magara ce conviene. ‘o conosce mejo. Se fida. Si ce sta ‘n mezzo lui, er frocio accetta de sicuro.
BIONDINO: Ma n’ c’aveva litigato?
PELOSINO: C’ha fatto pace. Capirai, Braciola sta a la canna der gasse, te pare che rinuncia a ghieci sacchi pe’ fasse fa ‘na pompa? Praticamente, so’ fidanzati ( e ride grasso ).
BIONDINO: ( sempre serio ) A Pelosi’, sia chiaro. Io a Braciola nun je do gnente. Si je voi da’quarcosa della parte tua, pe’ me stamo bene così. L’avo detto a te. Si volevo lui, j ‘o chiedevo direttamente.
PELOSINO: Due, tre pijotte…
BIONDINO: Dajele, ma dei sordi tua. Io n’ voijo sape’ ‘n cazzo…
PELOSINO: A Bio’, famo così. Si se le merita e ce da’ na mano veramente, due, tre pijotte damojele. Sennò se la pija ‘nder culo.
BIONDINO: Guarda che se Braciola comincia a raccontà in giro sta storia, io prima tiro a te e poi a lui. E’ chiaro? Ve vengo a cerca’ e ‘o sai che n’ ce metto un cazzo…
PELOSINO: Tranquillo, Bio’.
Entra Braciola
BRACIOLA: Ecchime. So’ arivato ar volo. M’ha telefonato er frocio.
PELOSINO: Aoh, a Bracio’…
BIONDINO: Quanno?
BRACIOLA: Ieri sera. Ha detto si ce vedevamo.
BIONDINO: E te?
BRACIOLA: Se semo visti. M’ha chiesto der firme. Si sapevo quarcosa.
BIONDINO: E te?
PELOSINO: J’hai detto de sì?
BIONDINO: ( minaccioso verso Pelosino) Zitto. ( minaccioso verso Braciola) Bracio’, dimme ‘a verità.
BRACIOLA: Giuro. J’ ho detto che me informavo. ( rivolto a Pelosino) Dice che j’hai telefonato e che sapevi come ridaje i pezzi der firme che sta a fa’e j’hanno fregato. Vole sapenne de più. Chi c’è dietro e come so’ arivati a te.
BIONDINO: E te che j’hai detto?
BRACIOLA: Ho fatto finta che n’ sapevo un cazzo. E in effetti nun so un cazzo…
BIONDINO: C’ha creduto?
BRACIOLA: Penzo de sì.
PELOSINO: Bravo.
BIONDINO: Bravo, sto cazzo! Quello mica piscia dar ginocchio. Lo sta a capi’ che lo vonno incula’!
BRACIOLA: Mica je dispiace ( e ride con Pelosino)
BIONDINO: Sete du’ stronzi. Si quello capisce che lo vonno incula’, nun accetta più de fa’ ‘o scambio e addio sordi. N’ c’arivate? Bisogna convincelo.
PELOSINO: Che famo?
BIONDINO: Arichiamelo Bracio’. Stacce in contatto. Fallo parlà er più possibile. Fino a quanno nun ce dicono de fa lo scambio.
BRACIOLA: Je posso di’ che ho sentito Pelosino?
BIONDINO: A sto punto, sì. Dije però che pure lui n’ sa un cazzo. Che riceve informazioni da gente der norde e che ancora nun j’hanno consegnato le pizze der firme. E appena sai quarcosa je lo dici subbito.
BRACIOLA: Che pizze?
BIONDINO: ( infastidito ) A Bracio’, se chiameno così. Nun lo devi molla’. Chiaro?
BRACIOLA: Senti, s’arimedia quarcosa pe’ me?
BIONDINO: Vedemo.
BRACIOLA: Grazie a Bio’. C’ho bisogno.
BIONDINO: Bracio’, tu c’hai ‘na bocca come ‘na ciavatta. Si n’ te fai li cazzi tua e vai a racconta’ ‘sta storia in giro, te sfonno. Hai capito bene?
BRACIOLA: Ho capito, ho capito.
BIONDINO: Se sentimo domani. C’ho n’appuntamento.
Ed esce. Buio. Musica. Sullo sfondo compare una scritta