No alla statua che allatta: vergogna woke a Milano

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“Senza la donna non va niente. Questo l’ha dovuto riconoscere perfino Dio”. È questa la visione della donna per Eleonora Duse, un’attrice italiana che ha scritto la storia del teatro moderno, non per nulla soprannominata la “divina” e considerata la più grande attrice teatrale della sua epoca.

Un’attrice che non si è mai risparmiata nel rappresentare la figura femminile in tutte le sue sfaccettature: “Le donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa che mentre m’ingegno di farle capire a quelli che m’ascoltano, sono esse che hanno finito per confortare me.”

Una donna che ha difeso a spada tratta le altre donne armandosi di coraggio ed empatia, come si può evincere dalle parole che ha dedicato all’universo in rosa: “Il fatto è che mentre tutti diffidano delle donne, io me la intendo benissimo con loro! Io non guardo se hanno mentito, se hanno tradito, se hanno peccato – o se nacquero perverse – perché io sento che hanno pianto – hanno sofferto per sentire o per tradire o per amare… io mi metto con loro e per loro e le frugo, frugo non per mania di sofferenza, ma perché il mio compianto femminile è più grande e più dettagliato, è più dolce e più completo che non il compianto che mi accordano gli uomini”.

Una donna che ha omaggiato le donne e che la famiglia di un’altra artista, Vera Omodeo, avrebbe voluto omaggiare donando alla città di Milano una statua in bronzo intitolata “Dal latte materno veniamo” per esporla in una piazza, in particolare in quella dedicata proprio a Eleonora Duse, nel centenario della morte della Divina (di cui si parla nel numero di CulturaIdentità in edicola).

Un omaggio che è stato però impedito dalla commissione del Comune, preposta a valutare le opere d’arte da inserire negli spazi pubblici, che ha infatti bocciato all’unanimità la statua in bronzo con la seguente motivazione: “La scultura rappresenta valori certamente rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini, tali da scoraggiarne l’inserimento nello spazio pubblico”.

Una statua raffigurante una donna che allatta il suo piccolo e che, sempre secondo la Commissione, si potrebbe donare a “un istituto privato, ad esempio un ospedale o un istituto religioso, all’interno del quale sia maggiormente valorizzato il tema della maternità, qui espresso con delle sfumature squisitamente religiose”.

Motivazioni integralmente wokeiste, definite “surreali” dalla figlia dell’artista, Serena Omodeo, la quale infatti voleva rendere omaggio alla madre e a tutte le donne donando l’opera, con la collaborazione dell’associazione Toponomastica femminile.

“Non ci interessa rinchiuderla, in città ci sono solo due statue dedicate a donne e questa è anche stata realizzata da un’artista donna. Inoltre, una donna parzialmente nuda non mi sembra affatto un soggetto religioso. Grazie al sindaco e all’assessore se riusciranno a trovare una collocazione all’opera”.

Una decisione surreale al punto da indignare sia a destra che a sinistra. È apparso sorpreso anche il sindaco Giuseppe Sala (Pd), il quale ha fatto sapere che chiederà “alla commissione stessa di riesaminare la questione, perlomeno ascoltando il mio giudizio perché io non penso che urti alcuna sensibilità. Mi sembra un po’ una forzatura sostenere che non risponde a una sensibilità universale”. Indignazione anche da parte dell’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, secondo cui la statua “non offende nessuno e valuteremo di darle una collocazione”.

Non si è risparmiata dalle critiche neanche l’eurodeputata della Lega, Silvia Sardone, la quale ha affermato che “una mamma che stringe al petto un bambino non può offendere nessuno che sia dotato di un briciolo di cervello”.

Polemiche anche da parte del Pd che con i consiglieri Alice Arienta e Luca Costamagna ha sottolineato come “la maternità come scelta di amore e libertà è un bene da tutelare e valorizzare. Non è cancellando la figura della maternità che si aiutano le donne”. Aiutare le donne, un obiettivo che accomuna l’artista della statua e l’artista alla quale si voleva dedicare.

Infatti, anche Vera Omodeo ha dedicato la sua arte all’elogio e di conseguenza alla difesa delle donne, valorizzando in particolar modo la loro essenza: dar vita alla vita.

Un’essenza che la scultrice ha provato sulla sua pelle, in quanto i medici, una volta che le avevano salvato la vita da una grave forma di nefrite, le dissero che non avrebbe potuto avere bambini, ma non fu così. Infatti, Vera ne mise al mondo sei – uno morì in tenera età – con l’industriale Adolfo Omodeo Salé.

“Dal latte materno veniamo”, bronzo di Vera Omodeo

Per questo motivo la scultura dell’artista -proprio perché il frutto della sofferenza, che solo una donna può vivere e provare – rappresenta un valore universalmente condivisibile: la maternità.

Quella maternità rappresentata da una donna che allatta, a dimostrazioni che la maternità è donna e quindi un valore che riguarda tutte le donne: madri o meno, sterili o fertili. Questo perché è il corpo della donna a far sì che la maternità era, è e sarà sempre donna. Che piaccia o meno solo il corpo della donna è capace ad accogliere e far nascere la vita. È il corpo della donna col suo utero, i suoi ovuli, il suo seno a essere il solo capace di ospitare e donare e accogliere la vita.

E forse è proprio questo che infastidisce i censori al servizio del politicamente corretto: ricordare che la maternità è donna e che quindi la donna esiste. Quel politicamente corretto puntualmente scorretto con la figura femminile vituperandone la sua essenza. Basti pensare ai murales e alle statue raffiguranti un uomo che allatta o ai concorsi di bellezza femminili e gare sportive vinti da uomini che si sentono donne.

Una cultura woke che, in nome della tutela della diversità, cancella quella che muove il mondo. Una diversità che si cerca in tutti i modi di censurare impedendo statue che “osano” rappresentare la realtà o proponendo leggi che danno vita a una vera e propria caccia alle streghe sol perché dicono il vero, ossia che un trans non è una donna.

E, a proposito di streghe, negli anni 70 la Fallaci diceva che le donne si devono battere “per dimostrare che oltre corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che chiede d’essere ascoltata”; ad oggi, invece, le donne che si battono per dimostrare che la donna c’è, esiste, rischiano la galera.

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