Viva la provincia italiana, dove almeno le corna si sapevano portare

2

ABBONATI A CULTURAIDENTITA’

In quel microcosmo che è la provincia italiana almeno le corna si sapevano portare. Durante le vacanze estive li vedevi i signorotti borghesi che uscivano dai loro alberghi di villeggiatura o dalle loro villette con la bouganville (gli hotel poi avevano nomi evocativi come il President, il Majestic,); li trovavi verso sera in bretelle, seduti a giocare a ramino, burraco, chemin de fer, poker: “ Notaio? cip, vedo, passo, Cavaliere il piatto piange, passo Generale..). Alcuni fumavano la pipa. Sembravano ai nostri occhi di adolescenti molto vecchi ma facendo un rapido calcolo avranno avuto poco più di cinquant’anni. Un’era geologica. E lo sapevano tutti che la moglie del dottor Bracaglini (nome di fantasia, ogni riferimento a persone è puramente casuale), se la intendeva col vecchio Righi, uno che c’aveva una posizione all’interno della Iveco e veniva sempre con delle belle macchine.

In Provincia-scriveva Piero Chiara– la vita è come sotto la cenere. Per vivere come si vorrebbe ci vuole il denaro; e oggi di denaro ne corre poco. Allora si gioca. Si gioca per cercare di moltiplicarlo. Il gioco diventa un fine, una mania, una malattia. Si stempera la noia dei pomeriggi e delle sere. Oggi tutto è cambiato. Si tenta una fortuna veloce, senza relazione, col gratta e vinci ad esempio e per scampare alla noia per chi può, c’è anche l’adulterio. Una volta c’erano le case chiuse, con la tenutaria e il ricambio costante delle ragazze. Un mio vecchio zio mi raccontava che da scolaretto ci andava e un pomeriggio incontrò sulle scale del viavai clienti-prostitute il suo professore delle medie di italiano: “ ragazzo, che ci fai qui? E lei professore?” Si diceva che le famiglie di una volta fossero più unite. Forse è vero. Il merito potrebbe andare anche alle vecchie case di tolleranza. Si faceva il peccato ma non si poteva dire. In quella provincia scudocrociata c’erano ancora quelli che avevano fatto fortuna all’estero e te lo raccontavano. Erano cuochi che dal paesino d’Abruzzo erano stati a Parigi o sulle navi da crociera e avevano avuto i loro flirt impossibili. C’erano i barbieri che in Svizzera erano divenuti parrucchieri per signora con stipendi da dirigente d’azienda; S’erano fatti una bella macchina e tornavano al paese. C’erano ancora gli industrialotti che si innamoravano per compensazione della cultura: collezionano quadri che non capiscono e mettono la moglie o la figlia in qualche CDA di un teatro giusto per sfoderare la pelliccia alle prime. (Moda passata per fortuna, quella delle pellicce). Loro, gli industriali delocalizzavano in Romania e stavano quasi sempre fuori. Lì trovavano quasi sempre delle segretarie a loro dire bravissime. Agosto, moglie mia non ti conosco. Le infedeltà estive si potevano compiere al riparo, in un’aurea di riservatezza garantita dalla seconda casa, al lago, al mare, in montagna. Adesso c’è il turismo mordi e fuggi ed è più difficile fabbricarsi un’alcova: “ a Mikonos vacci col tuo amico avvocato, è tutto pagato!” Avrebbe detto non tanto sommessamente il banchiere torinese alla sua promessa sposa infrangendo tutte le regole di una festa sulle colline torinesi. Piemonte, dove si “crapula e si copula” ma bisogna mantenere la faccia e il decoro. Siamo ben lontani da quella provincia narrata con aspra cattiveria da Pietro Germi in Signore e Signori del 1966 che vinse quell’anno il Festival di Cannes.

I vizi privati dello Strapaese, i suoi protagonisti beccati a gozzovigliare a sparlarsi tra loro ma che riuscivano a mantenere una coltre di silenzio assenso moralista e bacchettona. Le corna si possono tenere basta che non si sappia in giro. Vigeva il “che resti fra noi”, oggi è tutto diverso: il disonore lo si butta in piazza, in pasto alle belve dei social. Se non sbandieri, se non aizzi, se non ostenti, non sei, non esisti. Ci si trascina per i capelli sulla pubblica gogna di un immenso reality narcisistico e i panni sporchi si lavano su Instagram. Una volta c’erano le lettere anonime infilate sotto le imposte, le telefonate fatte di lunghi silenzi, adesso si fanno lunghi video in cui si racconta tutto. E allora viva la provincia di una volta dove ci si vergognava ancora un po’, dove c’erano i preti confessori che adesso non contano più nulla. Quel leggero brusìo delle infedeltà coniugali sussurrate al bar del Caffè Centrale di un corso di “struscio” che quasi sempre si chiamava Via Roma, adesso cos’è diventato se non strepito, violento sputtanamento, urlo, fischio, like, condivisione, in una parola “richiesta di schéi, danè, pìccioli, soldi? Una plateale richiesta di risarcimento per la propria incomprensibile infelicità o incapacità di amare da consegnare ad un avvocato per la cessazione di qualsiasi vincolo ed obbligo reciproco tra le parti. Non rimane che confidare nella piccola provincia italiana, mosaico di pietre preziose tenute insieme anche dal silenzio e dalla riservatezza, fatto di cose più semplici, quel vivere dove non per forza bisognava avere un posto al sole per brillare, emergere, rivendicare. Quando le corna si sapevano portare con eleganza e dignità. Dai film con Ugo Tognazzi a quelli dei fratelli Vanzina. Forse la provincia italiana, sognata, narrata, c’è ancora.

ABBONATI A CULTURAIDENTITA’

2 Commenti

  1. Portare le corna prima ancora di sposarsi?
    È troppo, meglio porre rimedio prima così, le eventuali corna, le potrà portare qualcun altro, se vorrà.
    Non giudico i modi di come “Lui” ha deciso di non sposare più “Lei”, ma conoscendo i motivi dello strappo, Sto arrivando! dalla parti di “Lui”. Se prima di sposarsi uno deve portare le corna, che poi non sono proprio corna, visto che sposati non lo erano, meglio porre rimedio per tempo.
    Ovviamente è un’opinione personale.

  2. A Milano invece è il solito horror. Accerchiato da 40 nordafricani in centro: gli sfregiano il volto per derubarlo.
    Questi sono gli eroi di papa Francesco e della Boldrini. Il sindaco di Milano Sala è invece in meditazione attiva. Quaranta contro uno, ma a sinistra non la chiameranno mai per quello che è: una vigliaccata della peggiore delinquenza. Con la polizia che guarda ma non muove un dito. Per non finire sotto la lente d’ingrandimento del P. M. di turno e di vedersi imputare una serie infinita di reati. Povera Italia.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

1 × 2 =