Non si governa un Paese con i like

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Photo by camilo jimenez on Unsplash

Franco Battiato cantava “mandiamoli in pensione i direttori artistici e gli addetti alla cultura”. Sarà il caso di suggerire lo stesso trattamento ai social media manager (smm) di molti dei nostri politici. Quest’anno, a Natale, circolare sui social voleva infatti dire imbattersi in post di politici, da ministri a leader di partito fino all’ultimo consigliere comunale: presepi, alberi, regali, atmosfera melassosa e iperglicemica. Non sono certo qualcuno che disprezza i social ma possiamo dire che i post familiari e fintamente intimi dei politici sono passati da uno stadio iniziale, in cui erano divertenti e spiazzanti a uno, quello attuale, in cui essi sono diventati insulsi, noiosi, ripetitivi, scontati, insomma l’apoteosi del kitsch? Esattamente, a cosa servono questi post? Che pensiero e che proposte diffondono? Quale idea di leadership e soprattutto quali idee politiche fanno emergere? Non lo sappiamo e forse non lo sanno neanche gli autori dei post, i ssm, i veri protagonisti, mentre l’immagine del politico finisce per essere solo un simulacro, nel senso di Baudrillard. L’idea di leadership che trasmettono è quella che nella scienza manageriale più recente è chiamata “di prossimità“, “più attenzione alla persona che al collega, prima alla cura che alla performance, prima alla dimensione del sentimento che a quella del pensiero”. L’obiettivo del politico: apparire umano, uno come noi. Ma dopo anni di populismo digitale, siamo sicuri che sia proprio necessario e sia una strategia vincente tutta questa visibilità? Non sarà il caso di recuperare un po’ di aura, un po’ di carisma che, attenzione vuol dire distanza, mistero, silenzio quando serve, arcana imperii. Dovrebbe far riflettere che mentre ministri, parlamentari e consiglieri smanettano sui social, chi comanda davvero, Draghi e pochi altri, non hanno neppure l’account. Ma si dirà che serve a raccogliere voti, il primo obiettivo di un politico in una democrazia. Lasciamo perdere che la “teoria realistica della democrazia” ci insegna che i voti si pesano e non si contano, ma già lo scorso anno Daniele Capezzone, nel libro Likecrazia, aveva messo in dubbio che l’incremento dei follower equivalga a quello dei voti. Non devono avere letto il suo libro, perché poi molti si sono messi a inseguire Fedez, che ha più like di loro, e trattarlo anche con un po’ di timore reverenziale. Forse gli ssm pensano che con il covid, ridotte le possibilità di incontri reali, occorra spingere su quelli virtuali. Ma in un incontro pubblico vedo il leader con il suo corpo, sui social solo un suo simulacro, peraltro frutto spesso di fotomontaggi e neppure di foto scattate per l’occasione. Alla fine, sotto l’albero di Natale abbiamo trovato il Pd di nuovo primo partito: quello meno potente sui social. Sarà un caso?

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