La libertà negata dal politicamente corretto

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“Se usi parole che fino a un certo tempo fa si usavano, anche col massimo rispetto e ironia, vieni accusato di omofobia”. Lo afferma Edoardo Sylos Labini a “Chesarà, il talk di RaiTre in onda ogni domenica sera alle 20.00. La risposta della conduttrice, Serena Bortone, è interessante, perché pone il nodo della questione: “ma se una persona si sente offesa, perché usare certe frasi?”. Un nodo andato irrisolto, perché coi tempi televisivi, la risposta di Sveva Casati Modignani – che pure fa sponda alla critica al politicamente corretto –, lascia cadere l’alzata di palla della Bortone.

Iniziamo da qua: la Casati Modignani ha perfettamente ragione nell’evidenziare uno dei tanti paradossi del politicamente corretto, questa ideologia che per creare un mondo meno spigoloso lo sta trasformando in un manicomio: “Con il #MeToo se un uomo e una donna entrano in ascensore credo che lui si incatenerebbe per la paura di sfiorare inavvertitamente la signora”. Del resto, oramai specialmente negli USA ci sono uomini che prendono le scale pur di non salire in ascensore con una donna senza testimoni. Altri uomini girano con penne-telecamera nel taschino, per poter eventualmente sempre provare la loro correttezza nel caso di denuncia di “molestie” da parte di femministe isteriche o cacciatrici seriali di risarcimenti in tribunale. Negli USA, l’ideologia del “trust women” – “credi alle donne” – è talmente radicata nelle aule giudiziarie che la maggior parte degli uomini querelati da una donna a qualunque titolo, preferisce patteggiare una pena e riconoscersi colpevole piuttosto che affrontare un calvario giudiziario in cui l’accusato già parte come colpevole fino a prova contraria. Il primo principio dello Stato di Diritto, la presunzione di innocenza, strappato e messo sotto i tacchi. A spillo.

Ma il problema sollevato dalla Casati Modignani, come detto, svia involontariamente dalla questione aperta da Serena Bortone. È la questione del “linguaggio appropriato”, questa nuova forma di conformismo con cui l’ideologia del politicamente corretto sta puntellando il proprio potere e il proprio braccio armato, quella cancel culture con cui colpire ogni reprobo, martellare ogni chiodo che sporge. La teoria del “linguaggio appropriato”, sostenuta dagli intellettuali più allineati alle ultime tendenze da campus americano, butta la palla nel campo della gente normale: non è il politicamente corretto a imporre una censura, è chi non usa con “responsabilità” le parole che sbaglia e deve correggersi. Chi non si corregge spontaneamente e non si allinea a una “responsabilità” decisa da altri deve essere investito dall’indignazione della gente per bene (definizione che usualmente corrisponde alle “minoranze oppresse” delle teorie wokeiste) e sottoposto a cancel culture. Peggio per lui, doveva pensarci prima. Non lo sentite anche voi questo odore di maoismo?

Un approccio che ha due gravi vulnera: il primo è l’assoluto soggettivismo. Il secondo la sua natura marxista-culturale, per il quale comunque il soggettivismo della “minoranza” che si è auto-proclamata come “oppressa” ha più diritto del soggettivismo dell’interlocutore a essere rappresentato. In soldoni, se sei un maschio bianco etero non hai diritto a offenderti, mentre dall’altra parte, le “minoranze” hanno il diritto di sentirsi offese per qualsiasi azione, parola, gesto, perfino comportamento (le cosiddette “microaggressioni”, fra cui è compresa l’occhiata non gradita o lo sfioramento involontario o scherzoso). Ammettere che esista un arbitrario diritto individuale di poter decidere cosa sia “offensivo” e cosa no, anziché una norma generalmente ammessa e tarata sulla media della sensibilità dell’intera cittadinanza, significa lasciare nelle mani della gente col sistema nervoso più fragile il diritto di essere giudice, giuria e boia dei comportamenti e della libera espressione altrui. Come fa giustamente notare Sylos Labini, un conto è un’ingiuria (fattispecie già prevista dal codice penale) un conto è una libera espressione del pensiero percepita come offensiva da una sensibilità iper-irritabile oltre il limite dell’isterismo. Qualunque persona sana di mente considera un bene infinitamente superiore quello della libertà d’espressione piuttosto che il capriccioso risentimento di chiunque si sia alzato storto al mattino. 

Sfortunatamente l’ideologia del politicamente corretto non ragiona così. Per chi segue la religione wokeista, i sentimenti contano più dei fatti, e l’indignazione di un membro di una “minoranza oppressa” conta più di tremilacinquecento anni di Diritto. La libertà di parola? Un fastidioso retaggio del passato. Chi ha tempo, vada a leggersi la risposta dei wokeisti alla famosa “Lettera aperta contro la cancel culture” (“A Letter on Justice and Open Debate”) dei centocinquanta intellettuali pubblicata su “Harper’s Magazine” del 7 luglio 2020, testo fondamentale nel dibattito sulla cultura della cancellazione. Ebbene, la risposta wokeista cita una sola volta il Primo Emendamento della costituzione statunitense, che sancisce la libertà di parola e di stampa, e lo fa perfino con fastidio se non con disprezzo. La libertà di parola viene vista non come un diritto universale, ma come un “privilegio” della “maggioranza” nei confronti delle “minoranze”.  

Chiamare “cultura della responsabilità” la cancel culture e cercare di addossare sulle spalle di chi parla un presunto dovere a star attento a non offendere anche la più urticabile delle sensibilità, significa inchiodare il coperchio della bara della libertà di parola. Ma mentre l’offesa è perfettamente soggettiva, il danno che tutti noi subiamo da questa ondata di conformismo, censura e puritanesimo linguistico è oggettiva, palpabile e quantificabile. Un esempio? Roald Dahl, Agatha Christie e Ian Fleming riscritti dai loro editori perché “non inclusivi” e quindi “offensivi” per alcuni lettori. Tenetevi strette le vecchie edizioni, fra poco varranno tant’oro quanto pesano. Ma al mercato clandestino, beninteso.

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3 Commenti

  1. Ho vissuto tanti anni in America, conosco tantissime persone che ci vivono e non ho mai sentito nulla del genere: “persone che non prendono l’ascensore soli con donne?” Ma che scemenza è?

    La terrificante “Cancel culture” di sinistra? Ma lo sapete che almeno l’80% dei libri cancellati dalle biblioteche pubbliche americane sono dovuti all’iniziativa di DI DESTRA (in genere religiosi)? E difatti LO STATO CON IL RECORD DI CANCELLAZIONI E’ IL TEXAS (quelli più liberal come la California sono all’ultimo posto). E che l’unico triste caso di un film cancellato da Netflix (prima che uscisse), Il film francese Mignonnes del 2020, è dovuto all’iniziativa della destra reazionaria (senatore Ted Cruz in testa)?

    • Caro Andrea, purtroppo i tempi in America, specialmente negli Stati più “liberal” sono molto cambiate, e in peggio. Potrei linkarti decine di video di uomini e ragazzi messi alle strette da donne infingarde con false accuse, che si sono salvati solo perché avevano qualcosa con cui filmare la loro innocenza.
      Quanto alla cancel culture, quella che sarebbe una sorta di “panico morale” scatenata dai terribili governatori repubblicani è una tipica affermazione da negazionismo wokeista. I libri rimossi dal prestito delle biblioteche scolastiche lo sono nella stragrande maggioranza perché di propaganda gender, spesso al limite della pornografia. Vi sono stati certamente casi esagerati, tipo la polemica per il pisello in vista del David di Michelangelo, che per l’appunto sono casi, di gente più realista del re. Al contrario, la cancel culture wokeista ha INTERI VOLUMI* di vittime, sistematicamente cancellate, scientificamente cancellate: persone, statue, film, perfino romanzi riscritti perché sennò qualche snowflake si offende…
      Quanto al film “Mignonnes” (in inglese “Cuties”) è la cosa più simile all’istigazione alla pedofilia che si sia mai vista dai tempi di Nathalie Portman che ballava “Like a virgin” in Leon, laddove c’era una scusante artistica di ben altro peso. “Cuties” è un prodotto disgustoso che sessualizza delle ragazzine di dieci-undici anni. Roba che chi lo vede poi deve lavarsi gli occhi con la varichina. Ci sono state varie polemiche – perfino la figlia di Nancy Pelosi si è scagliata contro quella roba, e non è certo di destra – ma il film non è stato censurato. Netflix l’ha distribuito ovunque, tranne in Francia. A parere puramente personale posso aggiungerti che sono contro ogni forma di censura, perfino dell’opera più disgustosa tipo “Cuties”. Ma questo – per l’appunto – non è il caso. Il film è stato contestato, ma non censurato.
      Cordialmente, Emanuele Mastrangelo

      * ne so qualcosa, sono co-autore di tre libri sull’argomento…

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