La Bicocca prima cancella il corso di Paolo Nori e poi fa retromarcia. Dopo l’accusa di censura, la rettrice dell’ateneo ha confermato che il corso “si terrà nei giorni stabiliti e tratterà i contenuti già concordati con lo scrittore” (n.d.r.)
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A Milano, nei prossimi giorni, Paolo Nori, autore di “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij” avrebbe dovuto tenere un ciclo di quattro lezioni, gratuite e aperte a tutti, sull’autore di Delitto e Castigo, ma il precipitare della situazione internazionale ha fatto sì che il corso venisse rimandato a data da definire.
Ad annunciarlo lo stesso Nori sul suo profilo Instagram, dove, visibilmente scosso dalla notizia, ha annunciato che tramite una mail, per una decisione presa di concerto fra prorettore alla didattica e rettore dell’Università, il corso sarebbe stato annullato con “lo scopo di evitare ogni forma dì polemica, soprattutto interna, in quanto momento di forte tensione”.
Il corso, che doveva prendere il via il prossimo mercoledì, dunque non si svolgerà.
In questi giorni, dove la follia ideologica sembra prendere il sopravvento fino ad escludere da ogni iniziativa fotografi, musicisti e sportivi provenienti dalla Russia, essere nati in terra moscovita appare quasi una colpa ontologica. E appare una colpa non solo essere russi viventi, ma anche morti. Come ha infatti precisato Nori, in lacrime, “anche essere un russo morto, che quando era vivo nel 1849 è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita, è una colpa. Che una università italiana proibisca una corso su un autore come Dostoevskij è una cosa che io non posso credere, quando ho letto questa mail non ci credevo”.
Se è vero che la situazione ucraina richieda una ferma condanna di violazioni del diritto internazionale, è però vero anche che i mondi di sport e cultura non debbano divenire terreno di scontro ideologico per accrescere le tensioni di un conflitto che va evitato in ogni modo.
La cultura è sì anche il mondo di dibattiti e polemiche, dure nei toni, ma sempre costruttive e propositive, così come lo sport, pur essendo per antonomasia il mondo della competizione, la propone in una chiave sana e vicendevolmente rispettosa di tutti i partecipanti.
Queste scelte, specie se prese nei nostri atenei, massimi luoghi della Cultura, non fanno altro che confermare la piccolezza di un Occidente sempre più in decadimento, in preda a follie ideologizzate e polarizzanti, incapace di andare al punto delle questioni e capace di barricarsi solo dietro a scelte autodistruttive.
Non è escludendo un corso su Dostoevskij che otterremo la pace, e non è “evitando polemiche interne” che giungeremo a una soluzione condivisa su come gestire la crisi di questi giorni: NO ad ogni forma di razzismo culturale.