Piazza Fontana. Un mistero legato a doppio filo con la morte dell’anarchico Pinelli

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Oggi sono passati 54 anni dall’eccidio di Piazza Fontana a Milano e non sappiamo ancora la verità: l’opinione corrente vede nell’intricatissima vicenda giudiziaria una verità che si è fatta storica e che tuttavia è indimostrabile, come i teoremi di incompletezza di Gödel. Furono davvero Franco Freda e Giovanni Ventura gli autori della strage, assolti in via definitiva e quindi non condannabili? Siamo sicuri che fu davvero Pietro Valpreda e non uno che gli assomigliava il passeggero con la valigia contenente l’esplosivo che il tassista Cornelio Rolandi portò davanti alla Banca dell’Agricoltura percorrendo un centinaio di metri sulla sua macchina? Ed è vero che Giuseppe Pinelli morì cadendo dalla finestra per quel “malore attivo”, come da inchiesta seguita dall’allora giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio? Oppure si suicidò perché seppe cosa avevano appena fatto gli anarchici?

Piazza Fontana è “un’eterna ghirlanda”, per citare un famosissimo libro di divulgazione di logica: a quella strage è legato, per esempio, l’assassinio del commissario Luigi Calabresi dell’ufficio politico della Questura di Milano (anche qui c’è un’intricata vicenda giudiziaria – e non solo giudiziaria -, con Sofri, Bompressi e Pietrostefani definitivamente condannati in Cassazione per l’omicidio del commissario, considerato il responsabile della morte di Pinelli, quando invece lo stesso giudice istruttore D’Ambrosio acclarò che in quel momento Calabresi si trovava in un’altra stanza della Questura insieme al questore Antonino Allegra) ed in generale proprio da quella strage nasce la cosiddetta “strategia della tensione”, espressione coniata dai giornalisti Neal Ascherson, Michael Davie e Frances Cairncross e che l’Observer pubblicò in un articolo esattamente due giorni dopo l’esplosione della bomba nella Banca dell’Agricoltura. A poca distanza dalla quale, all’altezza della Scala, doveva scoppiare un secondo ordigno, trovato inesploso nella sede della Banca Commerciale ma inspiegabilmente fatto brillare. Mentre a Roma quel giorno ne scoppiarono altri due. Si trattò di un’operazione coordinata da “menti raffinatissime” e di elevatissimo livello istituzionale, non solo italiano, rispetto alle quali gli esecutori materiali furono solo manovalanza? I depistaggi ci furono o non ci furono? Il famoso “agente Z” (il giornalista Guido Giannettini) era davvero un informatore dei Servizi? Perché le indagini mollarono quasi subito la cosiddetta “pista anarchica”? Davvero quella di Piazza Fontana fu una strage “nera”, come del resto disse per primo il pm Emilio Alessandrini, poi assassinato dai terroristi di Prima Linea? Perché a un certo punto Carlo Digilio si pentì? Quanto c’entravano Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi, i protagonisti dell’istruttoria avviata negli anni 90 dall’allora giudice istruttore Guido Salvini? Qual è la verità, non solo giudiziaria ma anche storica, di Piazza Fontana?

Nel 2019 chi scrive aveva redatto un articolo sul libro Piazza Fontana. Tutto quello che non ci hanno detto, del giornalista Pierangelo Maurizio, dove non si sventolava nessuna verità alternativa ma venivano fatte valere circostanze inoppugnabili, che tuttavia l’opinione pubblica misconosceva – e tuttora misconosce. Ma oggi, a Milano, per l’anniversario della strage, ci sarà fra gli altri una studentessa universitaria, Martina Davalli, che dall’alto dei suoi 24 anni ci spiegherà che cosa accadde quel giorno e ci illuminerà parlando di necropolitica. Nientemeno. O, come direbbe Cruciani,…

Il mistero di Piazza Fontana si risolverà quando verrà data risposta certa a queste due domande: 1) Come morì Pinelli? 2) Perché morì Pinelli?

Il libro del giornalista Pierangelo MaurizioPiazza Fontana. Tutto quello che non ci hanno detto (Editore Settimo Sigillo, 2019, 394 pagine, 30 €), non dà risposte ma mette chiarezza: auto-pubblicato nel lontano 2001, è uscito a dicembre 2019 in seconda edizione identica alla prima. Perché? Semplicemente perché ogni virgola del libro è valida ancora oggi a distanza di tanti anni.

Nella gran messe di produzioni editoriali date alle stampe in occasione del cinquantesimo anniversario dell’eccidio di Piazza Fontana, questo libro passerà del tutto inosservato per due ragioni.
La prima: lo pubblica l’editore Settimo Sigillo, cioè quanto di meno mainstream si possa immaginare, con un catalogo, come dire?, decisamente “fuori moda”.
La seconda: Maurizio contestualizza l’attività degli anarchici, illuminando quelle zone oscure della prima fase delle indagini alla quale successivamente si aggiunse la seconda, quella sui “neri”.

Nessun indizio autorizza tesi colpevoliste e nessun alibi traballante è indice di colpevolezza: Maurizio afferma di esser stato fra i sostenitori di Pietro Valpreda all’epoca della sua incriminazione e, non a caso, Piazza Fontana. Tutto quello che non ci hanno detto è dedicato sia a lui che a Pinelli, con una citazione di Valpreda in esergo.

Le molte pagine del libro contengono una gran quantità di informazioni dettagliate, apparentemente marginali ma in realtà dirimenti alla luce di una lettura del fenomeno diversa rispetto alle acquisizioni generalmente condivise, presentando al lettore molte informazioni minute poco note anche a chi ne approfondito lo studio dell’episodio storico di Piazza Fontana. Al punto che il libro va letto prestando attenzione anche alle famigerate note a pié di pagina.

Una parte del libro è dedicata all’attività storica degli anarchici, con una lunga parentesi sulla strage al Teatro Diana di Milano nel 1921.

Per citare la scheda editoriale del libro: “Dopo 50 anni c’è una verità giudiziaria: la strage di Piazza Fontana è nera. Ma non è detto che sia la verità storica“. 

Nel contrasto fra nozioni acquisite e piste investigative abbandonate il libro di Pierangelo Maurizio si inserisce come una luce interstiziale nell’oscurità del quesito fondamentale: o si capisce perché Pinelli morì o non si saprà mai la verità su Piazza Fontana.

[questo articolo è stato pubblicato su Il Giornale Off del 12/12/2019]

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